Il colore dell’acqua
Alessandro Canzian
con una nota di Mario Fresa
pag. 76
Isbn. 978-88-96526-68-2
ESAURITO
Libro pubblicato attraverso una Campagna di Crowdfunding Eppela.com
I sostenitori: Giovanna Rosadini, Andrea Sirotti, Alessandro Fo, Antonella Sbuelz, Gabriella Musetti, Sandro Pecchiari, Antonella Sbuelz, Rachel Slade, Monica Guerra, Ilaria Boffa, Valentina Premerl, Luigi Paraboschi, Guido Cupani, Monica Immovilli, Carla Vettorello, Cristina Micelli, Patrizia Andrigo, Maria Allo, Sara Florian, Riccardo Raimondo, Egidio Capodiferro, Gino Franchetti, Sofia Demetrula Rosati, Luca Baldoni, Vincenzo Della Mea, Federica Signorelli, Sabina Deligia, Giancarlo Morinelli, Fausto Majorana, Angela Greco, Elena Zuccaccia, Erminio Alberti, Maria Milena Priviero, Luisa Delle Vedove, Rosanna Cracco, Antonia Santopietro, Rosario Padovano, Fabiana Petozzi, Antonio Lillo, Alberto Trentin, Marina Giovannelli, Flavio Almerighi, Alessandra Flores D’Arcais, Silvia Secco, Davide Trame, Federico Rossignoli
IL COLORE DELL’ACQUA
Si avverte il desiderio di resistere contro la dissoluzione delle preziose radici della propria memoria, nella lingua pacata – eppure folta e vividissima – di Alessandro Canzian. Il poeta interroga il tempo e il suo improvviso disperdersi, nel tentativo fortunoso di debellare l’emergere del niente e della morte che in ogni istante schiaccia e preme l’affiorare di ogni evento, di ogni gesto, di ogni parola. In questa dolorosa e amorosa narrazione poetica la realtà, perduta e rinominata sempre, si disgrega e poi risorge di continuo, apparendo come illusione ed enigma, come promessa incauta e come incalcolata perdita: essa si presenta nella forma di un’angosciosa ragna che descrive – imprigionandola con il sigillo estremo della sua violenza muta – una dimensione pulviscolare e anfibia, terrena e metafisica insieme; così si mostrano, sulla scena del racconto lirico, fantasime di amori, rimembranze di antiche ferite, luminescenze di affetti smarriti, trasfigurati segmenti autobiografici, minuzie che rispuntano inattese e che parlano sempre con il suono di una tragica dolcezza; e questa tenera e dolente meraviglia che Canzian avverte nel tessere le tracce e i legamenti dei propri ricordi è inesorabile e costante, perché immersa nell’impenetrabile nebulosa di una «stagione arrugginita / negli occhi, in attesa di cosa», dove «la gola brucia a parlare / come un macello dentro al cuore». La poesia di Canzian si affida alla contemplazione di un infinito esilio delle cose, nel quale annega l’esistenza intera, disfacendosi e ricomponendosi sotto il segno di una duplice e inesplicabile pulsione di natura eraclitea, nutrita contemporaneamente di vita e di dissolvenza della vita: la stessa Olga, protagonista del bellissimo poemetto finale di questa raccolta, ha l’aspetto bifronte della concretezza e del fantastico, della presenza e della lontananza; e la sua singolare figura, recondita e vicinissima, già transitata altrove eppure mai distante da qui, arricchisce il lettore di una sospesa e incredula tensione che registra la provvisorietà e la vanitas degli accadimenti e degli stessi pensieri ma anche e soprattutto, forse, lo stupore di un’inesausta, indefinita felicità vitale che tutto muta e ridefinisce, come nel gioco misterioso di un sogno o di un insolito e confuso trasalimento.
Mario Fresa
Oggi all’A&O di Pordenone
ho comprato un profumo per la casa,
di quelli a pochi soldi, perché
mi ricordava l’odore d’una donna
che conoscevo tanto tempo fa.
Si, proprio quell’odore lì,
di vaniglia acre che ti suda
e ti fa male al cuore.
Sono tornato al laghetto dopo più
di un anno dalla nostra apocalisse.
Tutto era come allora.
Gli stessi steli d’erba le stesse
papere
– almeno credo – la stessa polla
d’acqua dove ti regalai la stessa
rosa.
Mancavano solo i nostri baci
lunghi,
il tuo sentirti bella dopo
aver fatto l’amore e il mio
sentirmi l’unico uomo
per te.
Mancavano anche i tuoi occhi
dello stesso colore dell’acqua.
Ho una voce di vuoto in gola.
Una chiarezza buia, uno spazio.
Ho una pozzanghera nel cuore
dove tu più non ci cammini
– con le tue caviglie
snelle come grandine –.
Ho una stagione arrugginita
negli occhi, in attesa di cosa.
Scrivere non basta a esorcizzare
le paure, nemmeno le colpe.
Guido dice che dopo una bella
poesia c’è meno dolore, da dire.
Che la fame delle braccia è in
fondo simile agli abbracci.
Ma la gola brucia a parlare
come un macello dentro al cuore.
La ragazza di nome Olga
è una ragazza che non conosco
né me ne sono mai innamorato.
Ma se me la immagino la penso
con la pelle bianca come i capelli
di mio padre, e il seno grosso
– ma la memoria non fa vedere –
e con l’utero profondo
come il buio dentro un uomo.
La ragazza Olga è una ragazza
che veste sempre ben curata,
raffinata, fin nelle fessure.
Parla correntemente quattro lingue
o cinque, non l’ho mai sentita.
Viaggia spesso per lavoro.
È dalle intercapedini del muro
che conosco la sua fede, notturna,
quando prega Dio con le ginocchia.
ESAURITO