Alessandro Canzian recensisce Ultima vela


 

Un percorso da stato d’emergenza / da vero giramondo dei mestieri, descrive così la sua “avventura” umana e intellettuale, Francesco Belluomini, giusto all’inizio del libro, Ultima vela, autobiografia “in forma poetica”, che raccoglie e condensa il suo lascito di esperienze in forma di parole, la sua storia (“tutto me stesso”), sotto un titolo metaforicamente comprensivo e allusivo di molte cose, della passione del mare non meno che del fatto che questa fatica si colloca in maniera riassuntiva al punto estremo dell’intera sua vita e costituisce in un certo modo il suo testamento morale nel consegnare ai posteri, senza falsa modestia, i montaliani “fatti” e “nonfatti” di un’esistenza quanto mai singolare, ricca di emozioni e “invenzioni”.

Con queste parole Vincenzo Guarracino introduce il libro postumo di Francesco Belluomini, attualmente in prevendita nel sito della Samuele Editore e disponibile da fine aprile 2018. Un volume che raccoglie il testamento del fondatore del prestigioso Premio Camaiore (oggi Premio Camaiore-Belluomini) e poeta di lungo corso che nei diversi libri ha tracciato un amore per la poesia nel suo senso più tradizionale (qui una recensione a un suo precedente lavoro). Un verso misurato e preciso che tende alla forma chiusa senza per questo rimanervi ancorato inutilmente. Non a caso in Ultima vela riconosciamo endecasillabi con la tradizionale libertà che fa di Belluomini un poeta d’altri tempi ricollocato oggi, un poeta senza mode, senza direzioni precostituite, ma con un’immensa fedeltà a un’idea di poesia non irrigidita né ossificata.

 
Come se disarmato sulla testa
d’albero del velame di quest’ultima
regata,sulla boa di sopravvento
tentassi completare la bolina
con la vela rimasta nel pozzetto,
per prendere le raffiche di poppa
e tagliare la linea del traguardo
nel valzer dell’insolite strambate.
Un percorso da stato d’emergenza
da vero giramondo dei mestieri,
non mancato scontare mio peccato
doppiando pure quattro continenti.
 

Inizia così un testamento che, come tutti i testamenti, ha come punto di partenza la propria storia. Belluomini racconta in versi una parte consistente della propria vita non rinunciando a sferzate e opinioni con la forza di chi può dire, inserendosi a pieno titolo all’interno di un racconto storico che tocca la shoah, i genocidi quanto le ubriacature dei mozzi.

 
Provando frustrazione, più che rabbia,
non compreso perché per apprendere
quell’immane tragedia provocata
dal furore nazista nell’agosto
di quel Quarantaquattro sanguinario
mi c’erano voluti ventott’anni,
quelli che già vantavo per tal tempo.
Martirio collettivo con sol nomi
di donne, di bambini che di vecchi
uccisi, poi combusti, con lo spregio
quasi cinquantennale del silenzio
più letale dei loro lanciafiamme.
 
[…]
 
A Las Palmas veduto norvegesi
d’un paio d’affollate baleniere
ubriacarsi dal mozzo al comandante
rischiando nell’uscita collisioni;
ma tanti grosso modo d’abitudine
da non capire cosa poi valesse
disperdere franchigie nelle nebbie.
Ultimi della lista di tal beoni
gl’italiani, con altro da sbrigare
nelle città portuali terminali
dei trasbordi trascorsi nell’ammollo
e sotto più beccheggi degli scafi.
 

Un esempio di integrità che non ha paura di dichiararsi con l’orgoglio d’avere creato uno dei maggiori premi nazionali legati alla poesia:

 
Mai calzato le scarpe di nessuno
né seguito le linee d’impostura
di quelli che detengono prestigio
di bardarsi con carta patinata,
restato nel mio piccolo vestire
senza contaminare l’artificio
con scampoli di testi e di pensieri
ad altri personaggi appartenuti.
Rifiutando quei prestiti d’accatto
come se fosse stato per principio;
seppure miscelare citazioni
permetta di lustrare l’intelletto.
 
Non è storia di dente e della lingua
che vi batte, se duole, che disposta
da solo l’esclusione. Non avendo
mai presentato testi da vagliare
alle grandi casate d’edizione,
neppure con carati di valore.
Pur venticinque quelli pubblicati
da variegati piccoli editori,
senza rischi di farmi debitore
o suscitare dubbi di spessore;
a causa del fondato monumento
inteso come Premio Camaiore.
 

Ma Belluomini resta uomo e resta poeta consapevole, a volte un po’ troppo criticamente verso se stesso, dei propri limiti. Che noi oggi sappiamo essere del tutto presunti e senza fondamento. Poeta non laureato Belluomini confessa:

 
Oggi propongo tutto come stessi
tutt’uno con me stesso, dopo quasi
quarant’anni di lunga prigionia
dal giorno che son stato soggiogato
dalla suadente voce pellegrina
risalita furtiva dall’inconscio;
sconvolgendo di colpo tal mio mondo
fatto di cose semplici e serene.
Un lungo travasar dalla memoria
dai tempi dell’acquoso scarrocciare,
prima di quella trappola beffarda
che m’ha manomesso l’esistenza.
 
[…]
 
Avrei nascosto molto volentieri
alla ristretta cerchia d’operai
d’avere quel percorso fuori norma,
temendo diventare lo zimbello
d’una compagnia d’altre scorciatoie.
Ma cronache locali dei giornali
esposto e riportato quel mio stato
sin dal Settantasette del “Viareggio”,
che fu com’inevitabile vedermi
attribuire solerte appellativo
di Poeta, riecheggiando nelle darsene
viareggine con poca riverenza.
 

Un percorso fuori norma che sappiamo non essere legato solo alla mancanza di un curriculum accademico adeguato allo scrivere poesia (e già questo basterebbe a far comprendere la severità di Belluomini con se stesso, a fronte del livello culturale medio dei poeti contemporanei). Una severità che si lega anche alla capacità di comprendere la grandezza altrui. Si legge infatti:

 
Con Giovanni Raboni e Vico Faggi
vincenti della sesta e della settima
edizione. Che tale “Camaiore”
sostenuto l’addio di Majorino,
di Lunetta e di Finzi non papali
al pari di Pasquino, pur non certo
un Papa re Woitila. Trombadori,
Jacomuzzi (non Angelo, ma Stefano)
e Leonardo Mancino, come degni
sostituti nell’alveo della tecnica
giuria; seppure sopita l’ambizione
di schierare stranieri concorrenti.
 

Sempre con la fedele e cara presenza della moglie, che ricorda e incide nel tempo dei suoi versi come meritevole d’essere ricordata per quanto lungo è il sempre di una poesia:

 
Che l’eco nell’America Latina
produsse quotidiani e diffusioni
televisive; come nel tutt’oggi
vanto d’aver premiato con Wojtyla
un santo consacrato dalla Chiesa
ed un poeta, perché affatto male
quell’autore di versi di Cracovia.
Un primato del Premio Camaiore
non certo superato, con mia moglie
Rosanna che quel tempo colloquiava
con la segreteria del Vaticano
e con l’Unione russa di scrittori.
 
Con l’abilità sempre dimostrata
di Rosanna, da tutti confermata,
s’era resa possibile presenza
d’Evtusenko e d’alto sostituto
di Karol; non potendo presenziare
per più lapalissiani dei motivi
l’autore titolare di quei versi.
Ma certo non cambiato quel contrasto
che mi costrinse reggere la botta
e mutare giurati fuggitivi
con altri di livello similare,
non perdendo di peso letterario.
 

Un Premio Letterario vissuto con la medesima passione e umiltà, attenzione alla fatica e al sacrificio costruttivo, che usava lavorando nelle navi. E a tutti gli effetti Ultima vela è un documento storico non solo di un pezzo di storia novecentesca ma anche dell’intero Premio:

 
Con statutarie tutte le sezioni
dal Camaiore-Proposta al vincitore
dell’Internazionale, con l’aggiunta
di più Premi Speciali designati
da questo presidente; che si fece
subito centro come s’aspettasse
il ritorno del Premio Camaiore.
Ermanno Krumm scelto dai giurati
popolari tra tutti finalisti
milanesi di fama conclamata,
come Cucchi e Buffoni. Con Maurizio
Clementi come giovane proposto.
 
Lawrence Ferlighetti lo straniero
scelto per l’edizione Novantotto,
da padre putativo della Beat
Generation
e della City Line
di San Francisco. Franco Cardinale,
Lina Frischi e Luciano Luisi premi
speciali della stessa rinnovata
ripartenza, con quella personale
ceduta proprietà del “Camaiore”
per la lira simbolica di prassi;
creduto star tranquilli nel futuro
dello stesso, pur stretta vigilanza.
 
Ad oggi son sommate ventisette
edizioni del Premio Camaiore,
avendone perdute nel cammino
un paio dalla data Novantotto
per soliti contrasti comunali;
sembrando che facesse dispiacere
quell’eco del successo duraturo.
Arrivando ad avere la presenza
di più ambasciatori di nazioni
d’origine dei poeti vincitori
stranieri; per Valinho brasiliano
perfino suo ministro da Brasilia.
 
L’ambasciatore Lopez di Cuba
per Miguel Barnet, quello dell’Irlanda
pel nobel Seamus Heaney, come
il console rumeno per l’autrice
Ana Blandiana, quello americano
per Billy Collins. Visto che Rosanna
sollecitante mica li mancava
quei traguardi, tradita dalla Francia
di Bernard Noél, centro con la Svezia
di Birgitta Trotzig, pur com’addetti
d’ambasciata presenti per G.Singh,
Mariella Mehr, Jorge Boccanera.
 
Mentre per Friederike Mayrocker,
Homero Aridjis, Ernesto Cardenal,
Gladys Basagoitia Dazza non supporti
di sostegno durante le serate
conclusive. Non meno gl’italiani
vincitori del Premio con illustri
finalisti di massimo prestigio
nazionale; con quella personale
aggiunta d’assegnare gli Speciali
ai poeti testimoni dei passaggio
di mezzo del secondo Novecento,
senza temere d’essere smentito.
 
Che certo tra Zanzotto e la Merini,
tra Luzi, la Spaziani e Bigongiari
-soltanto per citarne qualcheduno-
non posso trascurare le centurie
di poeti pubblicati che concorrono
ogni volta con poche aspettative
per l’assalto di più storicizzati.
Come ben limitati nei raddoppi
tendendo presentare pei giurati
popolari soltanto quegli autori
non prima d’attenzione degli stessi.
donando nelle case versi nuovi.
 

Ma Francesco Belluomini si sente sempre l’uomo in viaggio che lavora e usa la metafora della navigazione marittima per spiegare, indirettamente, che ogni vita è una navigazione in mare aperto. Dove il sacrificio è l’unica strada per ottenere dei risultati che portino beneficio e bellezza al mondo, e alle persone del mondo.

Un uomo, Belluomini, profondamente solido e caparbio, ed estremamente generoso. Un uomo che possiamo dire ha vissuto una vita degna d’essere vissuta. E un poeta che oggi ci lascia un’opera degna d’essere letta e ricordata:

 
L’abbandonata scuola d’avviamento;
l’abusivo maldestro venditore
di cocco e patatine sulla spiaggia
di Viareggio; quei doppi documenti
di lavoro terrestre e marinaro;
i porti, le città di mezzo mondo
visitate; l’impatto sorprendente
con la pesca d’Atlantico pescato
e quello con le grandi petroliere
della Snam, che mi fecero cercare
come farmi padrone di me stesso,
sorpreso dalla voce risvegliante.
 
I primi spaventati miei lavori
poetici di veloce rivelato
apprendimento; il Premio Camaiore
e tutti quei severi letterati
che m’hanno quasi sempre sostenuto.
La draga di Viareggio che mi rese
quel posto di marittimo statale;
nondimeno quel capo del villaggio
che predisse spianato mio futuro,
superando momenti di rottura;
le sfide dei romanzi pubblicati
e quella del Consiglio comunale.
 
Ormai svuotata parte di memoria
mi resta di concludere narrando
nel leggero; magari rivelando
lo studio sulla gente che viveva
nei porti di città non italiane.
Le strade dell’Europa più profonda
deserte sino fine settimana,
mutando tutto quanto lo scenario
nel veloce passaggio di due notti,
quella del venerdì e la seguente
con stuoli d’ambosessi più sbronzati
per i fiumi di birra tracannati.
 

Non a caso Vincenzo Guarracino conclude la sua pregevole prefazione affermando: Il risultato è il poema di una vita, di continui andirivieni tra porti e mestieri i più diversi, una vita costellata da viaggi, avventure, disavventure, amori e perfino da naufragi, oltre che da libri: quelli suoi, in versi e in prosa, usciti presso Editori differenti, grandi o piccoli che siano, e gratificati anche da riconoscimenti sempre più prestigiosi in Italia e all’estero; e quelli altrui, letti insaziabilmente dapprima solo nelle pause di un lavoro faticoso da mozzo sulle navi, poi “nottetempo” e nei silenzi, da inventore e Presidente di un Premio Letterario, che è diventato nel tempo uno specchio della società non soltanto letteraria italiana.

 

Alessandro Canzian

 
 

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