Frequentando il variegato – e spesso disorganico – panorama poetico italiano si possono fare alcuni incontri davvero interessanti. È il caso della recente L’imperfezione del Diluvio – An Unrehearsed Flood, di Sandro Pecchiari, Samuele Editore, 2015, raccolta poetica bilingue (italiano e inglese) dall’indubbio fascino immaginifico. Si tratta di diciannove momenti lirici che, fluttuando (a volte il titolo di un’opera può essere emblematico) tra le due lingue, si integrano e si completano a vicenda, pur mantenendo intatte le rispettive identità idiomatiche. La Poesia di Pecchiari, fin dai primi versi, appare priva di orpelli, netta, sicura, quasi laconica: «Trieste rincorre / scostante di parole / l’aria inerpicata / fiocinando campanili / dentro l’orizzonte […]» (I, p.17). Una scrittura sobria, dunque, ma non per questo povera; difatti, la ricchezza di immagini e le tante suggestioni legate a luoghi, fisici e dell’anima, sembrano raccontare un vissuto profondo e un sentire pregno di sensibilità che, in alcuni frangenti, plasmano liriche minimali, dai tratti crepuscolari: « […] opporre due scalini, qualche asse / soccorrere abitudini / di stracci e scope […]» (V, p.25). Sono passaggi che riportano alla mente certi tòpoi lirici di Gozzano, melanconici, semplici, intimistici e, proprio per questi motivi, di una grande forza evocativa: «la flebo infiltrava il fuoco / vederti vagliava ogni disfatta […]» (VI, p.27). Tra le righe, inoltre, ci è parso di scorgere talune incidenze dalle caratteristiche poetico-filosofiche, «[…] siamo conseguenze di una impossibilità […]» (VIII, p.31); «[…] il non-tempo che allaccia / l’imperfezione del diluvio» (XI, p. 37). L’autore, con spiazzante arguzia, opera delle sottili incursioni nella realtà contemporanea, ormai lisa e avvezza alla «felicità del male»: «noi cadaveri siamo così efficienti / spostiamo oggetti, interruttori / le stanze sussultano a ceffoni / sotto il nostro silenzio logorroico» (XV, p. 45).
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