Spolia (vol. II) di Federico Rossignoli
Samuele Editore, 2017 – Una silloge che tramite il mito riflette sulla formazione dell’Io. Tutti di volta in volta incarniamo le parti del dramma, il senso multiplo del mito, ma il poeta ricompone il quadro nella sua interezza, per farci equilibrati, comprensivi e compassionevoli.
Spolia (vol. II)di Federico Rossignoli (Samuele Editore, 2017, p. 74) con prefazione di Giovanna Frene e traduzione in inglese di Sandro Pecchiari, vuole ancora una volta ricondurci ai miti, di valore eterno, di saggezza senza tempo, per indurci a scandagliare le profondità del nostro animo.
La poesia è capace di compiere un processo di autoanalisi; qui il canto, il ritmo e le immagini costituiscono un momento ricreatorio, non nel senso di svago, ma di nuova creazione data dalla presa di coscienza attraverso la bellezza. Accade quando a parlare sono dei e dee, o figure trapassate dal livello umano al divino. La commistione tra umanità, bestie ed entità superiori costituiva uno stato di felice comunione nell’era mitica, quando il linguaggio poetico era ancora immediatamente comprensibile. Non impossibile per esempio sapere che il fiammeggiare del tramonto rappresentava lo stesso apparire del dio, infatti Zeus significa “il luminoso”. Rossignoli lo sa di istinto:
“Ribolliva il cielo / per un fuoco nascosto / e il fulmine appariva / se puntavo il dito”.
Il poeta possiede un’anima antica capace di leggere i segni e i loro significati reconditi. A noi invece, uomini scaltri del terzo millennio, quasi mai è data la conoscenza immediata, intuitiva. Così non sappiamo più “puntare il dito” ed è come dire che viene meno, nella società massificata, il dono della libertà e dell’autodeterminazione.
Ben sottolinea Giovanna Frene che in questa silloge è in gioco la formazione dell’io, con le sue costellazioni. La maturazione, lo svelamento accade per ciascuno attraverso un processo unico, ma sempre secondo paradigmi, archetipi di figure alte come monumenti, capaci di incarnare contenuti psichici che poi vengono contemplati, letti con una colorazione e un sentimento specifico individuale. Si apre quindi il discorso sulla natura della libertà, da esercitare nell’alveo di contenuti immutabili. Elena non potrà mai essere che Elena rapita da Paride, Menelao sarà sempre il defraudato, Aiace sarà sempre Aiace pugnace, Arianna vivrà per sempre l’abbandono di Teseo (vile e smemorato del bene ricevuto):
“Ora non ho parole se / non per torcerle in pianto”
Callisto sarà per sempre la ninfa innamorata di Artemide/Diana, la loro bellezza superlativa le unirà in un unico essere e la luce delle stelle consacrerà sempre il loro amore.
Il poeta procede nella narrazione con tono dolcemente malinconico e sommesso, come suonando musica da camera di cui è pure virtuoso, danzando tra memorie collettive indelebili. Scopre qualcosa di conturbante: la formazione dell’io procede con la violenza insita in ogni azione. Esistere, sembrano insegnare i miti, significa inevitabilmente impugnare la spada, uccidere, ma ciò, miracolosamente, avviene conservando gli affetti, secondo il dettato di Menelao.
Graziella Atzori