La raccolta di Federico Rossignoli, triestino, musicista e concertista, si apre con questi versi “Nulla vale la vita/ma vale tramandare/l’urlo che ora senti risuonare/e come fumo s’avvita”.
Le prime poesie, Vlada e il serpente (Epitaffio), Il banchetto, Archeologia, ci portano immagini di scomparsi, può essere Vlada, quattordici anni, “con una tunica e stola striate”; o una ragazza morta sotto il sole feroce d’estate in mezzo ad una fila di macchine, o “settantuno ostaggi” ricordati in un monumento. Ma allo stesso tempo rimangono nella mente e negli occhi immagini di colore, calore, vita: “motivi di tigre arcobaleno e pelle di pesca”; “il sole frinisce i campi/verdi come canzoni”; “la stella sul recinto, un tempo rossa/degrada sull’arancio”.
E’ una costante, questo contrasto morte/vita, che arriva a sottolineare l’indifferenza davanti alla morte, quando i vacanzieri invertono la rotta sulla strada e poi a sera si preparano un bella grigliata di pesce, innaffiata di vino. Il riferimento ai pesci che “morirono sulla graticola” risuona come parallelismo consapevolmente dissacratorio.
Salti improvvisi ci portano intanto lontano nello spazio e nel tempo, a riflettere su come ogni epoca ha avuto la sua dose di dolore.
C’è talora un che di mistero, un ammiccare senza dare risposta: “qui ci sono un sacco di vestiti colorati/in modo compromettente”. E un eros diffuso “avevamo scientemente bevuto troppo/mentre il vento senza vestiti a letto/gli occhiali appoggiati sopra i profilattici”, dove si sposta la nudità sul vento.
Il sole/vita torna di frequente, luce agognata da chi vive in posti che ne sono avari “gente famelica di sole e luce”; anche se “di solito non amo stare al sole”, e il calore si cerca in frequenti bevute “continuiamo a rigirare i bicchieri/come potrebbe il mare trasparenti” mentre fanno capolino un cimitero e dei cipressi in fiamme.
Luce è anche l’ora d’oro “E’ chiamata così quella porzione/di tramonto che copre d’oro azteco/case, strade e trafigge parabrezza”. Eppure anche qui arriva il contrasto racchiuso nell’ossimoro: “la ferocia non pregata e splendente/che da sempre mangia in piatti sbreccati”.
Vita e morte vanno a braccetto senza drammaticità, con la naturalezza delle legge universale: “La morte mormora ma senza opporre/nient’altro che libellule, il volere/dei rospi e dei ranuncoli”, mentre un volo di aironi si innalza verso sfere più alte.
Marisa Cecchetti
Gent e altre poesie
Federico Rossignoli
Un’edizione a distribuzione gratuita su Laboratori Poesia
QUI