Da L’Estroverso
In che modo la (tua) vita diventa linguaggio, qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “La stagione accanto”?
Questo libro raccoglie poesie che ho scritto in tempi diversi, in spazi interstiziali tra i movimenti della vita in cui la ricerca di senso per ciò che accade fuori e dentro di noi, che coinvolge tutti, per me è affiorata condensandosi in parole che sono in realtà domande. Di questo dice molto sia il titolo che l’immagine di copertina, che riproduce un’opera di una pittrice siciliana della prima metà del secolo scorso: una bambina è sul vano di una finestra, “accanto” al mare e al cielo luminoso, all’ombra di una tenda: e lo scrivere, che pratico da molti anni ma con discontinuità, è per me una pulsione che è stata vissuta “accanto”, come in un’altra dimensione, o un’altra stagione, a poca distanza ma separata dalle vicende incalzanti della vita pratica, quotidiana; una dimensione intima, nascosta, che solo di recente mi sono “consentita” di portare alla luce. Il libro è diviso in sezioni, che corrispondono a diversi “momenti” interiori. Nella prima i testi dialogano con persone che non ci sono più o rispecchiano il “non detto” in relazioni affettive esistenti e il confronto con la sofferenza, parte dell’indicibile che intesse le interazioni umane. La seconda sezione è nutrita dalla memoria, è più un’esplorazione di me stessa, dei cambiamenti che ho attraversato e dell’evoluzione dei sentimenti. Nella terza sezione sono comprese poesie scritte più recentemente in cui i luoghi di vita, il paesaggio, sono pretesto e metafora di stati d’animo, le relazioni si trasfigurano, e si svelano spazi liberi e vie di fuga. Strada facendo, mentre scrivevo e riscrivevo, le cesure tra le stagioni si sono sciolte.
Riporteresti una poesia (di altro autore) nel quale all’occorrenza ami rifugiarti, rivelandoci cosa “muove” la tua “preferenza”?
Primavera ben presto
sarà tra noi; le sere
s’allungheranno tiepide e una grande
luce vedrai
nelle finestre limpide fiammare.
Barche andranno nel lieve scintillio
dei remi sopra l’acqua
morbide; e qua cantare
sentirai, nella piazza alta i fanciulli
grideranno. Stupore
ti prenderà, mio cuore.
Io starò sopra questo
tenero davanzale, e lenta arcana
mi tornerà memoria
d’altre sere, e la storia
grande vedrò, smarrita come il mare.
Questa la primavera? E i miei capelli
già lievemente splendono al soave
tocco del tempo, e il viso
già i segni porta, mesti, di bufera.
Presto la luna splenderà frattanto
sopra l’onde serene,
rivelando le barche e una strada
dorata in mezzo del celeste mare.
E tu più forte udrai
al ballo i passi delle giovanette,
dentro le buie camere da festa
travolte, e più gridare
con i fanciulli sentirai le rondini.
Tu starai sola in casa, e la memoria
ti assalirà, dipinta di stupore,
d’altre sere beate.
Che tempo fu? Che strano
paradiso mai quello?
Ricorderai tu, lenta,
mentre la festa aumenta e nelle case
scopre la luna il viso alle fanciulle,
i suoi labili accenti,
gli occhi che ti miravano contenti.
Strana bene è la vita,
reprimendo i lamenti,
e mirando la gran festa, dirai.
E un po’ sarai turbata, quella sera
che già s’accosta, della primavera.
Si tratta di una poesia di Anna Maria Ortese, senza titolo, contenuta nel libro “Il porto di Toledo”, un testo scritto in prosa e in versi, che “non è (…) una storia vera, non è un’autobiografia, è rivolta e “reato” davanti alla pianificazione umana” nel quale l’autrice inventa “una me stessa che voleva un’aggiunta al mondo(…) che vedeva, nella normalità, solo menzogna.”. Ortese è una scrittrice che amo molto; io ho studiato il perturbante della follia, anche in autrici, italiane e straniere, che hanno trasfigurato nel linguaggio poetico “l’alterità” psichica e corporea che dà la possibilità di esperire, ed esprimere, nuovi legami col mondo. Ortese è, secondo me, capace di esprimere in massimo grado il “perturbante” proprio nell’accezione originaria di unheimlich, ciò che è al tempo stesso familiare e straniero; e in questa poesia io ritrovo opposti perturbanti che mi appartengono, tra memoria e presente, ma anche, stranamente, conforto e abbraccio nella verità del tempo che passa.
Intervista a cura di Grazia Calanna
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