Terra dei ritorni – Alessandro Anil


 
 
Terra dei ritorni
Alessandro Anil
Pagine 68
Prezzo 13 euro
ISBN 978-88-94944-85-3
 
 


 
 

Alessandro Anil irrompe con estrema originalità nello scenario poetico attuale: nel suo verso lungo, che attinge alla tradizione orientale, la materia si trasforma in vibrazione, fa germinare immagini, ripetute e variate, una sull’altra, che conducono una dominante melodia: la sera e l’auspicio dell’incontro. La sera ha a che fare col sonno, lo stare “sulla soglia delle ombre” prima di addormentarsi, col “terrore” che il fuoco dentro noi stia morendo. D’altra parte l’incombere della fine accende la “sete”, che è ciò che fa muovere i nostri passi anche se è notte, nella metamorfosi, nel movimento, il cui principio è l’amore. Ecco perché nella sera la voce rivolge dapprima al lettore, poi a un’amica mia, la preghiera “lasciami entrare”: mentre ripete che “niente resterà qui”, essa popola lo spazio di presenze, che si toccano, crescono l’una sull’altra, deviano e ritornano, sono la promessa della vita, “indizi e ripetizioni che alternano la fine col principio”, a dirci “che non è fine, che c’è ancora tempo” finché resteremo sillabe pronunciate, alla luce del movimento che, nello stesso fiume della fine, incontra le presenze della vita.

 
 
 
 
Non è necessario che mi ascolti. Non è importante. Le due rette parallele
di un binario si uniranno comunque, nell’infinito, e questo sangue
lasciato dall’ultimo sole, sembra fermarsi nelle arterie, sospensione
di un battito che non avrà una terra su cui mettere radici, declinando
per l’ennesima volta quel legame tra fragilità e bellezza.
Anche quel poco di natura rimasta, così lontana dalle foreste,
dalle tigri e contrabbandieri che popolavano i nostri sogni, si ritrae nella stanza.
L’inermità del riposo richiede la protezione della tana e questo
sia che si tratti del verme in coordinate misteriose o l’uomo che rientra
la sera per il nutrimento e il sonno. Niente è diverso, le stagioni
dei piccoli segreti sono intatte. Torneranno vedrai, nella breve forcella d’ombra
lasciata ai margini della strada. Orione, le costellazioni dell’Orsa
continuano a svolgere il loro corso fissati in un fotogramma eterno
e non dovrebbe sorprenderti se dopo tutto questo tempo sono ancora
qui, ad amare e soffrire, così inquietamente vinto, a chiederti
di lasciarmi entrare. Anche questo fa parte delle leggi eterne dell’universo.
Vedo l’inclinatura della nuca quando bevi, l’acqua scende
come un’accettazione, come la morte. Presumo sia questa la richiesta:
non la santità, ma la santità prima del peccato. Resteranno solo ombre,
solo ombre, mentre l’umidità sale dalla terra e i colori, le forme
iniziano a dissolversi. La notte è un oceano immobile come un ideogramma
con la sua particella di luce infinitesimale. Come osservare la fine
senza terminare con essa? Giù, nel frutteto, nell’ombra
ghiacciata dell’estate, c’è un luogo dove la migrazione degli uccelli sosta
qualche istante. Noi siamo il sogno di un animale appena addormentato.
 
 
 
 
 
 
Si dice che Ulisse, in vecchiaia, preferì morire in mare. Tornò a visitare
i luoghi che hanno legato il proprio nome al dolore, luoghi amati
dove il ricordo della vita è più presente della vita presente.
Ulisse preferì morire fra le acque. Ci sono sogni sognati da soli
e sogni che si sognano insieme e, a volte, sono lo stesso sogno.
Ogni ritorno è una partenza, ogni partenza è un cammino verso i fantasmi
che si amano e se io sono tornato qui è perché sperimentando
una superficie che ha attraversato due continenti e tre oceani ho compreso
che è qui, accanto a questo mandorlo che nella mia assenza espandendosi
ha mostrato i limiti del giardino, qui, sulla tua soglia dove ogni nostra
imperfezione è esposta alla fine, in questa terra dove tutto ha avuto inizio
e ogni cosa sta per finire, qui, dovevo tornare. Un cane attendeva Ulisse,
i cani con cui sono cresciuto sono parte di circostanze immaginarie,
queste strade, terreno fertile per il gioco sono ora passaggio per camion,
eppure, la lama sottile che nelle notti ha scavato il torrente nel lato oscuro
della sete è la stessa di quando da ragazzo immergevo le mani nel sonno.
La sera ha un modo particolare di vestirsi con le ombre, una lenta
preparazione verso l’oscurità, finché improvvisamente lei ti attende sulla porta
e tu sei ancora in bagno a lisciarti i capelli. Se alla fine del nostro viaggio
nessuno riconoscerà le mani che per tutta la vita ci hanno nutrito
è perché il tempo è come la notte, nessuna periferia inutili dello sguardo si salva
quando il mondo si ritrae nel campo tattile della vicinanza. Essere straniero
nella propria terra è un dolore senza denti, persistente come il movimento
dei fiumi. Ulisse tornò per ristabilire un impero, i miei cani attendono
di leccarti le ferite. Lasciami entrare. La tua salvezza è un sogno felice.
 
 
 
 
 
 
Solo nel tremendo c’è il desiderio, nella fine, l’inizio, la siccità è sete
e la sete è movimento, principio. Se per un inizio ci deve essere una fine,
allora la vita senza la morte è vita senza inizio, la luce senza oscurità
è ombra perpetua, tenebra senza luce. La tavola è apparecchiata,
iniziano i movimenti delle mani accompagnati dalla bocca,
la superficie delle acque è piena di increspature, tornerà calma quando i corpi
saranno sazi. Così la vibrazione finale della luce mostra l’arco conclusivo
prima della quiete notturna, il battere delle ali negli ultimi istanti,
quando l’animale non è ancora carne, né nutrimento, è segno che il dolore
appartiene agli stadi intermedi e questo è un altro modo ancora per chiederti
lasciami entrare. I fiori notturni si stanno aprendo. La disposizione della luce
è diversa, ora è il neon a delineare il perimetro dello sguardo. L’uomo
inizia a scendere nelle strade in cerca di ciò che solo l’oscurità può offrire.
Cambiano i suoni perché mutano le attività, cambia l’abito sui corpi,
così distanti l’uno dall’altro nelle ore dell’impiego possono ora riunirsi.
In altre coordinate mentre i notiziari annunciano le ultime informazioni del giorno
e la mano appende il cappotto sulla spalliera, predatori più immaginari che reali,
si alternano in questo secolo, invisibili all’occhio perché la luce artificiale
non può coprire l’eternità delle ombre. Se il fiume è la più precisa immagine
della vita, ipnotizzato come un bambino davanti a una sfera di cristallo, osservo
la città che lava le sue mani e quando per un eccesso d’acqua corrente
qualcosa sfugge fra le dita e si perdono le tracce, il sole che tramonta
nel paese della vita si chiama morte, per chi abita nell’altro emisfero
novità e se io sono tornato qui, di sera, quando l’ultimo atto del giorno
riduce il confine visibile a favore degli altri sensi è perché anch’io,
come ogni elemento della natura che torna nel suo principio instabile,
come una lingua oscura attende la mano del traduttore per essere compresa,
così attendo le tue mani per tradurre in silenzio l’impazienza
delle mie. Lasciami entrare. Devo anch’io assumere una nuova forma.