Poesia dell’effimero, dell’eterno fluire che approda al sogno e si disperde in assenza. Si sbriciola tra le foglie sospese in un soffio di vento, rappresenta il gioco degli specchi, il dirsi e il dichiararsi in un amore che è punto di arrivo e principio incipitario. S’intitola Egolari (Samuele editore, 2024, pp.123, prefazione di Vernalda Di Tanna) ed è la nuova raccolta in versi che Massimo Pamio, saggista e poeta, dedica al gioco virtuosistico e cangiante della parola poetica, la cui centralità in questo nuovo libro di poesie s’imprime nello scardinare apparenti verità e certezze, in nome di un principio lirico che muove all’origine fondante delle cose, in un catalogo onomastico e di topoi letterari ed esistenziali che fa dell’egolario (neologismo coniato dal poeta), il doppio perturbante in cui ogni realtà si dichiara e si fa altro da sé. Con brillante intelligenza e con matura padronanza letteraria, Massimo Pamio scrive un’opera metaletteraria, un teatro dell’io in cui la voce lirica finisce per negarsi, ritrovarsi e smarrirsi in un doppio che dichiara la sua inconsistenza: «se l’uno con l’altro invero coincidono/ è grazie a me: io servo, lui padrone» (M. Pamio, Egolari, Samuele Editore, Pordenone, p.19).
L’impostazione duale identitaria dei componimenti presenti nella prima sezione Teatro I attraversa la psiche autoriale che si dichiara laddove è in grado di riconoscere una pluralità di identità, in cui l’io effettivo si parcellizza in alterità che ne autorizzano l’esistenza soltanto nella dichiarazione: «Io, un altro» (Pamio, p. 18). Il termine Egolari si frantuma in richiami come in un gioco di specchi, in cui lo sguardo si perde nel vuoto di rimandi e prospettive che produce, sembra farsi eco giocosa di quella crisi identitaria che caratterizza drammaticamente la nostra attualità, in cui siamo vittime di profili virtuali e in cui il bisogno di autenticità e di riconoscimento spesso autorizza quell’esasperazione parossistica dell’ego, cui forse, solo la parola poetica, nella sua tessitura rarefatta e preziosa di richiami e metafore, può far fronte in un insolito connubio di inquietudine e delicate sonorità: «Gli egolari mostrano la loro dissolubilità, il loro difficile stare insieme […]. L’egolario dell’io è un teatro, un insieme che è doppio perfino nell’unico» scrive Pamio, nella nota conclusiva del volume.
Laura D’Angelo
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