L’ultimo libro di versi di Alessandro Anil, Terra dei ritorni (Samuele editore 2023) incluso nella dozzina finalista del Premio Strega Poesia 2024, segue altre due raccolte del 2019, Versante d’esilio e Come tradurre la neve, in cui l’autore aveva già dato prova della sua maturità espressiva e di una particolare tensione spirituale, non circoscrivibile solo teologicamente.
Anil è nato nel 1990 in India, nel villaggio di Santiniketan, sede della scuola filosofica di Tagore, e lì è vissuto fino ai sedici anni. Trasferitosi in seguito in Europa, dopo la laurea in Inghilterra, risiede oggi in Italia, dove si occupa di teatro, filosofia e traduzione. Della sua origine orientale mantiene tuttora una disposizione naturale alla meditazione ascetica, al superamento delle contingenze quotidiane nella ricerca della verità, prediligendo lo scavo interiore e solidi ancoraggi etici per conquistare la libertà interiore. La sua scrittura si propone quindi come metodo di conoscenza, nel raggiungimento di una consapevolezza non unicamente sensoriale.
Terra dei ritorni si compone di tre sezioni poetiche, sia tipograficamente sia formalmente vicine alla struttura della prosa filosofica, nel ritmo pacato dell’esposizione riflessiva, dell’argomentazione equilibrata, che non conosce scarti linguistici destabilizzanti o sperimentalismi provocatori, ma predilige l’armonia di una narrazione priva di discrepanze.
Già a partire dall’epigrafe, il lettore intuisce nel richiamo al nascondimento e alla rivelazione, all’ombra e alla luce, alla presenza e all’assenza che continuamente si inseguono, l’eco del pensiero classico e l’insegnamento di religioni millenarie sul transeunte che permea la realtà: “Noi siamo uno nell’altro nascosti / e ci apprendiamo quale l’uno il nascosto dell’altro. / Alternando, ci mostriamo quando siamo più nascosti / e ci nascondiamo quando più ci mostriamo”. Nell’intenzione gnomica dell’avvertimento, come non ripensare all’oscurità delle formule eraclitee, al “lathe biôsas” di Epicuro, allo svelamento del tempo di Heidegger, all’elogio dell’ombra di Borges, fino alle teorie più recenti della psicanalisi sulla duttilità delle esperienze umane e l’indefinibilità dell’inconscio?
Così nella lettera iniziale, il cui destinatario rimane ignoto (tutti o nessuno, l’io dell’autore o una presenza amata), il tema – ripreso poi nel corso delle pagine – è quello dell’esilio, dell’allontanamento (da sé stessi e dalle origini, dalla società e da asfissianti legami sentimentali) connesso a quello del ritorno, di un rimpatrio, di un rifugio protettivo nell’alveo materno della natura, del corpo femminile, della casa: “L’inermità del riposo richiede la protezione della tana”. Fuga e rientro, inizio e fine, alba e crepuscolo, primavera e autunno si rincorrono nelle immagini e nelle ostentate ripetizioni di alcuni concetti.
Come un mantra ribadito in una nenia tranquillizzante, troviamo infatti la supplica “lasciami entrare” rivolta alla donna salvezza e rifugio, e la continua affermazione della vanità e inconsistenza dell’essere: “niente resterà qui, niente”, “Niente, niente resterà, solo oscurità”, “Resteranno solo ombre, solo ombre”, “la luce senza oscurità è ombra perpetua, tenebra senza luce”. Ombra e penombra alludono alla quiete della sera, quando un inedito Ulisse riapproda alla sua Itaca abbandonata, cercando l’abbraccio protettivo e accogliente del corpo dell’amata. “Lasciami entrare” viene ripetuto ventitré volte, è una preghiera e insieme una richiesta perentoria a una presenza erotica immateriale, sfuggente e indefinibile e tuttavia persistente. Roccia àncora culla dimora letto. Concretezza e astrattezza insieme, la donna chiamata “amica mia”, moglie fidanzata madre di figli futuri, è soprattutto colei che aspetta, offrendo fiducia e consolazione a chi è andato via e ritorna trasformato, avendo finalmente trovato risposte alla propria inquietudine. Le dichiarazioni d’amore sono insistenti, come la richiesta di un perdono, di una generosità immeritata: “se io sono partito è perché sapevo che tu eri qui ad attendermi. / Lasciami entrare. Impossibile non pensare l’amore come a una terra”, “la mia sete appartiene al tuo corpo”, “il corpo può continuare ad appagarci nonostante il dolore”, “Le mie mani sono ossessionate da te”.
Dopo la prima sezione che dà il titolo al volume, le due successive (Note sulla melodia dell’acqua e Cartografia della voce) si accentrano su due tematiche fondamentali nella riflessione teorica di Alessandro Anil: l’elemento liquido e il suono. L’acqua trova ancora importanti riferimenti mitologici e filosofici nella tradizione culturale di ogni tempo e latitudine: il fiume Lete che cancella la memoria, lo scorrere inarrestabile del fiume eracliteo, la purificazione del Gange, il battesimo di Cristo, immagini che tutte si riassumono nei versi del poeta: “il fiume misteriosamente dà forma al tempo”, “il rivolo d’acqua negli anni scava la via del ritorno”. L’acqua canta, trasporta melodie, e secondo l’autore “La musica è la tentazione del linguaggio di tornare nell’origine da cui ha dovuto astrarsi per esistere… Se la misteriosa forma del tempo è la musica, siamo il tentativo della materia di trasformarsi in vibrazione, una melodia, un suono che bussa sulla soglia del niente”. L’ultima breve sezione del volume, è dedicata appunto al suono, alla magia della voce umana come si era espressa dolorosamente in alcuni ricordi infantili, avvicinando il pensiero al buio ineluttabile della morte, o come più gentilmente ha accompagnato la scoperta vitale della rinascita, della bellezza ritrovata in piccoli fiori spuntati al mattino, nel volo notturno delle falene, che rivelano “il dominio della grazia… vita che si ritrova nel minimo, nel nulla quasi essenziale”.
Alida Airaghi
Continua sul Sito di Alida Airaghi