Abitare
Candelaria Romero
Pagine 114
Prezzo 12 euro
ISBN 978-88-94944-34-1
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Prezzo 4 euro
Qual è il significato dell’abitare che titola questa ultima raccolta di Candelaria Romero, poetessa e attrice dalla plurima identità culturale e linguistica? E come conciliare l’esperienza biografica della transitorietà dell’abitare con le radici di cui si dice nell’epigrafe in apertura al libro? La poesia di Romero è il risultato di un incrocio generazionale di esilii: «ricorda di ricordare / che sono figlia di un poeta morto / che ho una casa sulle Ande / e che dentro mi scorre sangue indio». Bisogna partire da qui: nata in Argentina da genitori entrambi poeti, un primo esilio in Bolivia per sfuggire alla dittatura seguito dall’asilo politico in Svezia, dov’è cresciuta e ha ultimato la sua formazione teatrale, fino all’approdo del 1992 in Italia.
La poesia di Romero è quindi soprattutto il risultato di un incrocio generazionale di lingue: lo spagnolo della prima infanzia e delle relazioni nella famiglia d’origine; lo svedese dell’adolescenza e della formazione scolastica; l’italiano della costruzione e dell’accudimento della nuova famiglia della vita adulta. Tre lingue che si sono succedute e intrecciate in varia misura nel tempo, per accomodarsi definitivamente negli spazi della poesia: sacri come i versi del padre, incontaminati come la casa andina della madre, certi come il sangue che scorre sotto le spoglie dell’ennesimo presente.
Solo nella poesia, dunque, l’esperienza della precarietà del reale può trovare radici. Sono radici sottili e ramificate, quelle che in botanica si chiamano “radici esploratrici” e hanno il compito di esplorare appunto il terreno alla ricerca di acqua e nutrienti da distribuire alla parte aerea della pianta. Un reticolato mutante, inquieto che qui si avventura oltre confini geografici e temporali, ad alimentare il poetico abitare di Romero lungo le quattro sezioni in cui è declinata la raccolta: Case, Bosco, Corpo, Cose. Quattro stazioni dell’essere che finiscono per sovrapporsi e identificarsi, ricongiungersi in un nucleo organico di vita come scrittura: «Ora sono un corpo – pennino / una penna a sfera dove fare sciogliere il mio liquido. / Scivola l’inchiostro nero fra le ossa / dalla cima della testa fino in fondo ai piedi / scende un torrente scuro che ora è ritmo ora è preghiera / lascia tracce sulle piastrelle due / un gres color terra / pavimento fresco e abitato / pagina calpestata di questa dimora».
Mia Lecomte
La casa potrebbe lasciarsi andare
i muri tremare sgretolarsi e fondersi con il torrente vicino.
La casa potrebbe essere morte sangue
seppellire i padroni
punto finale di una storia
oppure no.
Si potrebbe fare come Tiziano e i suoi amici
ricostruire
rifare tutto da capo
partire dalla fine
dalle macerie
pietra su pietra innalzare nuove dimore
sulla calce fresca dipingere angeli.
Si potrebbe come Francesca, Cristina,
Federica e Manuel
sposare il bosco il fiume
partorire frutti e bambini
ripopolare l’aria
pregare
riempire stanze di caldo incenso a lume di candela ascoltare
mantra indiani dalle labbra di un prete cristiano.
Si potrebbe ricostruire
pensare che nulla è veramente compiuto
ripartire da capo riprendere da qui
da questo punto preciso
questa la valle da attraversare
queste le acque dove immergersi
questo l’inizio e così sia.
Pulire gli angoli è la cosa più importante
è negli incavi che si deposita la polvere insistente
quella che col tempo diventa grasso
difficile da mandare via.
Una casa non si giudica dai pavimenti lucidi
ma dalle angolature pulite.
Occorre rinfrescare con acqua tiepida
tutto il resto è meno urgente
è da una vita che lo so
me l’ha insegnato Felisa.
Il fuoco nel braciere le foglie di coca
il fumo negli angoli
e le parole sussurrate che solo Felisa conosce.
Anche io pulisco oggi
sussurro oppure canto
tolgo ragnatele a ritmo di rock
With or without you I can’t live with or without you
umili insetti si rifugiano altrove
e tutto sta qui mi dico
in questo gesto cadenzato che deterge e bagna ricordi
spazzolo memorie rannicchiate
raccolgo schegge dimenticate
briciole anonime
cadute senza rumore.
Una casa non è una pagina bianca
senza pieghe
ma un abitare di linee spezzate
perfetta custode di geometrie.
Pulisco la mia casa
e tutto sembra avere inizio
giusto qui giusto ora.
Corpo II
A volte mi stanco di essere donna
stanca di sapere questa
e quell’altra verità tutte insieme
stanca di essere pioggia
che cade distrugge feconda
di essere sentiero nel bosco
valli altissime
di essere fango che nutre
e soffoca allo stesso tempo.
A volte mi stanco di essere donna
e allora
lascio franare il mio piccolo mondo
che non conosce tregua
è fatto di ossa pazienti e vene calde
pelle che preme che stride
con tutta la terra.
Quale poema attraverseremo ora?
Lei sentiva voci di defunti nella testa
le parole della madre
le nenie della nipote.
Chiamavano le voci
e lei aveva paura di morire.
Andai a trovarla all’ospedale Padilla
nella città di Tucumàn
arrivai dopo un lungo viaggio
attraversando il globo terrestre.
Il ricovero straripava di letti sfatti
e da ogni corpo
si udiva un bisbiglio
come se la malattia fosse un eco
che sale dall’oscurità delle viscere
e sussurra segreti alla pelle.
Nel pronto soccorso la gente attende
è un luogo ghiacciato
ma una volta, dicono
non c’erano nemmeno le mura.
Il pavimento è antico
sembra sporco ma è solo sgretolato
viene pulito quattro volte al giorno
con l’ammoniaca
gli occhi si fanno rossi
e i nasi colano.
La porta dell’ingresso cigola
ogni volta che un parente entra
e s’aggiunge
al sermone della morte e dello smarrimento.
Alle quattro del mattino
tutto viene sciacquato via
con una secchiata di acqua
I famigliari sono pregati di allontanarsi
urlano i vigilanti
usciamo tutti.
Sul marciapiedi brulica la vita
nuvole di fumo sono il segnale di fuochi accesi.
Con venti pesos puoi scaldarti e bere un mate
Vieni figliola siediti vicino al fuoco ti preparo una tazza
cosa ti è successo? è tua madre?
Sono i venditori di strada
umili curatori di anime.
Rientriamo.
Nella terapia intensiva
un carnevale di corpi mozzati danzano d’innanzi
mia madre intanto trema
e anche io
siamo tutte e due stanche di troppo sangue.
Appoggio la testa alla parete scrostata
gli scarafaggi fanno la passeggiata notturna
sopra il fresco delle piastrelle.
Qui ogni cosa è decadente
tranne gli infermieri e le badanti
ogni giorno chilometri di strada
per guadagnarsi un pezzo di paradiso
medicano con parole dolci
e ascoltano la pelle con attenzione.
Arriva il mattino
è ora di lavarsi
bagno e profumo il corpo di mia madre
conosco questa pelle
ci sono stata dentro
e ora ci ritorno
ascolto e ritorno
come chi è stato via per molto tempo
ed esiliato riprende il cammino con stupore.
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