Bernard Stiegler, nell’opera intitolata Prendersi cura. Della gioventù e delle generazioni (Orthotes Editrice, 2014), invita appunto a prendersi cura delle generazioni, che non devono essere considerate compartimenti stagni, bensì vasi comunicanti in perenne e reciproca influenza tra loro. Potremmo banalmente dire che il giovane di oggi sarà l’adulto di domani e che l’anziano di oggi è stato il bambino di ieri oppure constatare che, in effetti, siamo sempre noi a trovarci in momenti differenti della storia a vivere età diverse, ognuna col suo portato personale e sociale. Sempre Stiegler insiste, giustamente, sul concetto di cura, atteggiamento in controtendenza alla voracità odierna di consumare tutto e subito e velocemente di passare ad altro, poiché solo con un rallentamento dei ritmi e un soffermarsi attento sulla fragilità e sulla bellezza delle cose potremmo tornare e vederne le sfumature, le diversità; solo con la cura possiamo tentare di arginare lo psicopotere che tutti ci tiene in scacco e che rende pressoché impossibile, soprattutto per i giovani, avere ancora voglia di provare a «mordere la vita», come il Presidente della Repubblica uscente li ha invitati a fare, forse non considerando che i loro denti stanno marcendo, viste le (non)condizioni che Stato e società offrono loro. Stiegler ci ricorda che è opportuno ripensare il rapporto intergenerazionale a partire da un nuovo approccio alla tecnica ed elaborando una nuova politica dell’educazione.
Leggendo e rileggendo lo splendido lavoro di Francesco Tomada, Affrontare la gioia da soli (Samuele Editore – Pordenonelegge, 2021) si respira sia questa apertura alare che copre tutte le fasi della vita e quindi le generazioni che di volta in volta siamo chiamati a ricoprire sia l’assenza di attenzione istantanea o di interessamento fatuo a favore di un atteggiamento protratto di cura verso gli altri, verso le relazioni, verso le cose.
Tomada si presenta al lettore giovane, figlio, padre; mostra l’imperversarsi su di sé delle analisi scrupolose e senza soluzione fatte per capire meglio le dinamiche che legano l’io agli altri, che ci portano a stare dentro i rapporti senza poterli mai afferrare per intero; mette a nudo le ambiguità del volere il bene e fare il male o viceversa, ponendo, già dal primo testo della raccolta, nella giusta prospettiva la complessità del vivere.
Alessandro Corbetta
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