Alfabeto morse di novembre – Marina Corona


 
 
Alfabeto morse di novembre
Marina Corona
Pagine 120
Prezzo 13 euro
ISBN 978-88-94944-59-4
 
 
ESAURITO

 
 

Alfabeto Morse di novembre conferma Marina Corona tra gli autori che più intensamente sanno porre in parola poetica il sentimento di “nostalgia preventiva”: se il racconto di un’esperienza, di un incontro (anche con il sé), di una presenza avviene con lo stendersi del ricordo sulla pagina, già prefigura – nello svolgersi – il proprio svanire. Ed è dal senso di perdita che trae origine l’atto poetico di Corona: un tentativo di eternizzare quel momento, quel luogo, quell’incontro e di farlo vivere oltre il tempo. Tutto questo avviene per combinazione di felicissime metafore, apparentate alle grandi scritture del Novecento: così si può scorgere nella rondine coroniana (un giorno cadrà a terra la macchia / che mi hai fatta alla fronte / fra gli archi dei sopraccigli: / cicatrice del male / e toccherà la piaga il sole / col suo dito bendato di bianco, / tu non ci sarai più, nel vuoto spazio / lasciato dalla tua figura / sosterà una rondine albina) la piena comunanza con l’assenza in Diego Valeri (C’è, scavata nell’aria, la tua dolce / forma di donna: un vuoto / che palpita di te, come l’immoto / silenzio dopo una perduta voce).

 
 
 
 
Il burattinaio
 
Quest’ora si slancia oltre i balconi
nell’aria chiara e trema e si frange
oltre me oltre te, sul secco selciato.
una lama affilata ci ha tagliati:
tu alla porta destra io alla porta sinistra
del vuoto palazzo dove batte il gong
fino a spaccare.
Il collo ha perduto l’anello vertebrale
la testa cade in un inchino,
che regge un raggio filiforme di sole,
e dice: “sì sì sì io burattino”
e tu burattinaio ti allontani
col passo piatto, cordami alle mani.
 
 
 
 
 
 
L’ombra
 
Di te era rimasta la buccia
scura come una carruba: l’ombra,
recisa con le forbici dal margine dei piedi,
staccata dalla suola delle scarpe,
afferrata con due dita a pinza
l’ho buttata nella cesta dei rifiuti,
al piovasco un rigagnolo la spingerà nel tombino,
mi passerò la mano sulla fronte
a cancellare un pensiero
e una rondine volerà oltre l’orizzonte.
Cavaliere del ghiaccio che ti sciogli
nella nebbia della città,
cuore inghiottito,
e mi si forma a partire dalle labbra
un viso di Madonna ridente.
 
 
 
 
 
 
L’uno e l’altro
 
Adesso tu hai preso la strada lontana
e hai lasciato impronte nere
incatramate al di là delle tue buie spalle,
l’altro, il giocoliere,
è caduto nell’orto di sterpi tra le spine
ha lasciato una nuvola grigia sopra di sé
a rammemorarlo con lacrimante pioggerella,
siete due belle estati sottoterra,
da voi spuntano libellule
vibranti trasparenti messaggere
dicono: “non piangere
ogni cosa è a un tempo sottoterra,
tu sei per ora fatta d’aria solo a metà”.