Briccole – Salvatore Risuglia



 
 
Briccole
Salvatore Risuglia
Pagine 102
Prezzo 13 €
ISBN 978-88-94944-83-9
 
 


 
 
Versione online Sbac!
Prezzo 4 euro


 
 

Per Jacques Lacan e in seguito per Giorgio Caproni la parola, per quanto la più precisa possibile, rimane incapace di esprimere il significato più pieno e profondo di ciò che intende nominare/descrivere: entra qui in gioco il valore del dire, segnatamente in un tempo, quello odierno, caratterizzato da quella che Calvino definiva “la peste del linguaggio”, l’antilingua smozzicata e scarnificata dei social. Dunque, come invertire la rotta, posto che ciò sia possibile? Forse prendendo a prestito gli epigrammi del vicentino Fernando Bandini posti in esergo di questa silloge il quale, scevro da ogni idea di una suprema funzione salvifica della poesia, vive quasi come un “rimorso” lo scrivere in versi ingannando i periodi di “non-speranza”. Il rimorso allora è ciò che ci viene in aiuto ogniqualvolta scriviamo-leggiamo poesia: una sensazione di errore a ritroso, di difficoltà a cogliere l’essenziale, di arduo e periglioso compito connaturato al mestiere di poeta il che comporta lo stabilirsi di un rapporto sinallagmatico tra chi legge e chi produce. Il primo “restituisce” maggiore significato e ancor più valore all’atto del secondo: così la parola, per quanto piccola “cosa insussistente senza polpa e ossi”, assurge a elemento fondamentale. come la briccola.

Salvatore Risuglia si muove tra poesia e poemetti ricorrendo a illustri “prestiti” e a un vocabolario ricco che spazia anche nel dialetto siciliano e sperimenta quanto oggetti apparentemente secondari, di cui probabilmente la maggior parte di noi ignora l’esistenza, assurgano a figure necessarie: le briccole, appunto, sono quelle strutture nautiche che indicano le vie d’acqua e in taluni casi servono anche a ormeggiare le imbarcazioni.

dalla prefazione di
Federico Migliorati

 
 
 
 
Elogio della speranza
 
Più volte abbiamo chiesto alla speranza
di farsi largo e apparire, non di celarsi
dietro paratie, chiusa in anfratti d’onice
o nell’alcova di un grembo sconosciuto;
spesso fu inutile l’arrivo (da quali galassie,
tardivo dono a venire?); d’altronde
è solo una parola, cosa insussistente
senza polpa e ossi, senza un tantin di cuore,
però col valore infinito di una briccola.
 
 
 
 
 
 
Le briccole che seminai
 
Mi chiedo a volte se girando la chiave
nella toppa della mia casa, entrassi
altrove e mi trovassi in luoghi ignoti
di cui mai ebbi conoscenza o qualche
frequentazione, e andando qua e là
nelle stanze che furono del cuore,
non vedessi i miei libri e le mie carte,
non trovassi cioè le briccole che seminai
nel mio piccolo mare con solerzia giorno
su giorno per giungere a un approdo
(quale approdo?).
 
 
 
 
 
 
Addolora questa primavera giunta
nel suo giorno esatto con tutti noi
aggricciati a casa: viviamo all’insaputa
e nell’insonnia, inquieti che qualcosa
accada; una primavera rapinosa senza
gli uccelli a nuvole, svaniti chissà dove
e l’aria priva di tepore. Eppure di là
dai vetri della finestra vedo gemmare
silenzioso il tiglio e l’infiorata vedo
che divampa nel ceppo di ginestra.
 
 
 
 
 
 
All’insaputa di Dio
 
Ho scelto le parole più remote,
quelle giuste per l’occasione:
speranza, amore e desiderio,
i sorsi di felicità inenarrabili
e i gesti più antichi e inusuali,
stipati nei pozzi della memoria
per vivere all’insaputa di Dio
(fu paura o solo lagnusìa?).
 
 
 
 
 
 
Quel riso non finiva mai
 
Un tempo fummo guerrieri indomiti;
avevamo il senso di ogni assillo,
la soluzione giusta ai problemi,
e anche nel più buio dei luoghi
trovammo la luce per andare avanti
verso le ambite mete. Scoprimmo
poi che siamo vulnerabili e pavidi,
allora si cominciò a ridere di lena
e ardore. E quel riso non finiva mai.