Buona Pasqua dalla Samuele Editore


 

Mentre su Laboratori Poesia auguriamo a tutti una Buona Pasqua attraverso uno Speciale in tre parti: Un occhio che ascolta – T.S.Eliot di Marcello Strommillo (QUI), La notte oscura di Maria – Giuliano Ladolfi di Paolo Lagazzi (QUI), e Mi dispiace quando ti senti separato da tutto di Rossella Frollà (QUI), qui su Samuele Editore ci pregiamo di augurare pace e serenità a tutti i nostri autori e lettori con una piccolissima antologia di testi scelti e a tema a cura di Mario De Santis, Umberto Piersanti, Lucianna Argentino, Marcello Strommillo, Mina Campaner, Filippo Passeo e Biagio Accardo dai libri pubblicati con noi.

Perché il concetto di Pasqua è sempre stato un punto cruciale e un problema per l’uomo. Nel racconto dell’Esodo (capitolo XII, versetti 11-27) si menziona il termine pasqua in relazione al verbo pāsaḥ, presente anche in arabo, con significati come zoppicare, saltare e passare oltre (superando qualcosa). Il secondo significato è evidenziato anche dal nome della città di Tiphsaḥ (I [III] Re, V, 4), nota come Thapsacus dai Greco-Romani, punto di attraversamento delle grandi carovane attraverso il fiume Eufrate. Il racconto biblico narra la celebrazione della prima Pasqua ebraica quando Mosè, per ottenere il permesso di partire dall’Egitto, provocò la decima e ultima piaga, conosciuta come Pasqua ebraica. Durante il mese di Abīb (successivamente Nisān, marzo-aprile) ogni famiglia ebraica immolò un agnello maschio senza difetti, spargendo il suo sangue sulla soglia della porta. In quella stessa notte gli Ebrei, così protetti dal sangue dell’agnello, vennero risparmiati mentre gli egiziani subirono la perdita dei primogeniti.

La Pasqua cristiana porterà poi una profonda trasformazione accostandone il significato al verbo greco pathein, soffrire, per collegare la celebrazione alla Passione di Cristo. Questo diede origine alla festa più significativa del Cristianesimo, simbolo della centralità di Cristo, l’Agnello di Dio, che si carica della colpa umana e trionfa sulla morte per tutta l’umanità.

È indiscutibilmente un’immagine di grande potenza poetica che oggi acquisisce, soprattutto per i poeti, diversissime valenze che si intrecciano con i propri desideri personali quanto quelli sociali, con la Storia, con il bisogno di credere in Dio o anche solo in un futuro più ampio. Non manca, quasi sotteso e disperato, il senso di delusione per la promessa non ancora assolta, per il grande riscatto dell’uomo su sé stesso che, fondamentalmente, consiste nella fine della Storia stessa. Non manca, per fortuna, l’epifania d’una parola che resiste nel canto. Che resiste all’uomo e alla Storia. Che torna al significato originario di pāsaḥ nel senso di superare tutto ciò che è il mondo di oggi.

Samuele Editore

 
 


 
 
(Dove, domani)
 
La notte non si divide, neppure il Tevere
che ci chiude in due città. Così il tempo delle assenze
è stato una giostra e una rettifica leggera al mondo
quella sorgente di montagna mai raggiunta
– eppure il nulla di melma del sottofiume
esiste ancora: lava di foglie, schiuma spenta,
tende di rifugiati e spazzatura
una bava del passato e un gorgo –.
 
Adesso non c’è tempo per dire cosa non è stato,
come sarebbe se domani – in un’ora senza data,
con musica infelice e in feste di settembre –
fosse visibile nel disastro, l’irreparabile
che annuncia un cambio di stagione.
Tutto avrebbe segnalato (visto prima) la sottile
differenza tra il sogno della morte
e un altro giorno in cui saresti stato qui.
Lo chiameremo, in ogni caso, storia.
 
(Roma, vigilia di Pasqua 2003)
 

Mario De Santis, dalla sezione Primo Atto in Corpi solubili (Collana Gialla Oro, 2023)

 

 
 


 
Ancora sulla parola
 
È stato posto
il Verbo
alle porte del Tempo
e dello Spazio
dall’uomo che intravide
nella parola l’essenza
stessa del Divino
di questo segno
possibile
orma
unica-sottile.
 
Quindi la parola
trasmessa
consegnò la lotta continua
e la vittoria
sul reale
e fu lavoro
e scienza
ed era anche
l’essere uomo
il solo che esistesse
nei segni fraterni
d’amore, d’amicizia
d’ogni possibile discorso
e fu inoltre
memoria
arte
storia
segno unico
dell’uomo sull’Universo.
 
E non esiste un saggio
religioso o tra i laici
il più tenace
che non sappia la forza
immensa della parola
dove riconosce sé
e se ne esalta.
 
Ma la parola anche
è segno della paura
retaggio degli sgomenti
d’odi tenaci
e delle solitudini più chiuse.
 
E il mio cervello squassato
l’atroce meccanismo
venuto a galla
è opera solo
della Parola, e la parola
è sempre
inizio d’ogni
possibile follia.
 
Invidio l’animale
che mangia
e si guarda intorno,
l’animale che vive
e che s’accoppia
che non sa
quest’arma la più atroce.
 
(ottobre 1975)
 

Umberto Piersanti, dalla sezione L’urlo della mente in L’urlo della mente e altre poesie inedite (2024, Nuova Collana Scilla)

 

 


 
Lego il mio ventre alle onde quiete del lago, al volo alto degli uccelli,
a questo tempo che ha la grazia di un dono,
all’azzurro degli occhi di lui carichi di alfabeti,
alle sue mani piazza e radura, ristoro alla mia stanchezza.
Lo lego a te che mi stai tra la pelle e l’anima perché il vero e il bello
non stanno nel fondo delle cose, ma traboccano
nel più che sarà dato a coloro che nella vita hanno tracimato.
 
(…)
 
E loro già lo sanno che ancora un poco e poi non mi vedranno…
ma tu dì soltanto una parola. Una parola.
Nell’ora del mio Getsemani veglio
perché le veglie delle madri fanno le notti assolate.
Tu dì soltanto una parola…
Eterna e ordinata, facile da dire,
facile da obbedire. Ché questa mi fa scandalo,
incrocio tra fede e bestemmia, bivio dove vita e morte
vanno alla rivelazione lievi e leggere senza il peso dei “Perché?”
Cadute sono tutte le domande. Depongo la voce e rispondo.
 
(…)
 
Tu figlio bello e benedetto,
figlio dell’obbedienza alla legge che regola l’umano.
Tu nato al mio principio di vita nuova
al mio transito in un silenzio leggero verso la parola giusta,
tu mia ultima parola, mio tutto è compiuto
perché nessuno ha amore più grande di questo:
dare la vita per i propri amici.
È questo il canto che vi lascio,
la fede che rammenda lo strappo
perché mai e poi mai sentiate l’abbandono
ma solo e sempre l’abbondanza del dono.

Lucianna Argentino, dalla sezione Madre in La vita in dissolvenza (Samuele Editore, 2022, Collana Scilla)

 

 


 
Tommaso (Sul quadro di Caravaggio)
 
Aggrottando le sopracciglia scruto
da ragioniere la ferita del
costato.
 
Metto lì il dito e guardo con
precisione chirurgica il punto
sconsacrato.
L’occhio di bue
muto.
 
Quello in cui non credo non è
lui, Cristo,
l’azzurro sputo,
il muco di parole e amori,
ma l’esistenza del mio dito.
 
E tu?
Metti sangue nel mio dito,
bava di smeriglio,
saliva di figlio,
quando cerco nel tuo fianco
lo spiraglio.
Nella città bombardata di sole
la spugna custodisce le voci.
 
Il corallo nascosto negli occhi dei morti.
 

Marcello Strommillo, dalla sezione I chiodi dell’acqua in I chiodi dell’acqua (Samuele Editore, 2023, collana Callisto)

 

 


 
Pasqua negata
 
Radici tagliate non adatte a nuovi suoli.
 
Sono tornato là dove un tempo
si attaccavano ai rami dei pistacchi.
 
Durante la Settimana Santa in Sicilia
Santi e Divinità camminano per le strade
tra incenso e lamentanze senza risposte.
 
La musica delle bande musicali più che di cielo
ha risonanze di pietre di fiumare e miniere franate.
 
Sono tornato nella mia città dove persone
non somigliano più ai fiori di pistacchio,
tra fumi di candelotti accesi di magnesio
cerco volti conosciuti tanti si sono persi,
ma almeno qualcuno tra la folla
per non essere un sopravvissuto,
un volto di dolomia scavato
da conchiglie di perle di ragazze…
è lui, Guido? No, non è più lui.
Non sono più io,
quello in pantaloncini corti tra le mani dei genitori
dolci di zucchero filato e coniglietti di cioccolato,
quello che abbracciava fichi d’india senza pungersi.
 
Rimango nell’uovo          senz’ali di colomba,
resurrezione.
Lascio estraneo luoghi e volti nuovi,
la vita che cammina senza voltarsi
depositando cenere calda
sulle vie del vento.
 

Filippo Passeo, dalla sezione Di vita e parole in Poesie d’amore e di dolore (2019, collana Scilla)

 

 


 
Quando cammino il mondo si schiarisce
e la nube lascia il posto al sole,
ma sono grato alla nube
perché senza l’oscuro non c’è il chiaro;
sono grato alla polvere
perché la povere aiuta a capire
la vera vocazione del mondo;
sono grato perfino al dolore
perché solo il dolore insegna a riparare
e a rialzare.
 
Quando cammino, non sono io
che vado incontro alla vita:
è la vita stessa che viene a trovarmi.
 

Biagio Accardo, dalla sezione Guardare dove è oltre in Ascetica del quotidiano (2019, collana Scilla)

 


 
Accarezzo il corpo di pietra
imponente, granitico,
fonte battesimale
piena di acqua effervescente
e mi immergo nel desiderio.
Ogni giorno una rinascita.
 

Mina Campaner, dalla sezione Acqua in Radici di salice (Samuele Editore, 2021, collana Scilla)