Il libro Breve inventario di un’assenza, di Michele Paoletti, ha già avuto diverse recensioni – visibili anche sul web – dove si accenna, in massima parte, al suo contenuto così come rappresentato anche nel titolo, ovvero relativamente alla descrizione di un’assenza, di una mancanza dovuta alla scomparsa di una persona cara e naturalmente a tutto ciò che ne consegue in termini di inventari, resoconti, bilanci più o meno emotivi, quotidiani, inconsci: niente di più vero, certo, niente di più sofferto, e doverosamente reso, con dovizia di particolari, dall’autore. Ma, ciò che mi preme sottolineare, non è tanto l’assenza che si presume raffigurata nella raccolta, quanto invece l’incessabile riscontro della presenza. Sì perché, paradossalmente, quando – come in questo caso – si tende a enumerare non solo i ricordi o le emozioni vissute in particolari momenti della vita con la persona cara che non c’è più, ma si raccontano gli oggetti, si rendono protagoniste le cose, anche le più minute, ecco che tutto questo diventa ciò che resta, ciò che c’è realmente oggi, ciò che ci appartiene ormai definitivamente come un’appendice da cui, forse, non ci allontaneremo mai, ciò che avrà un posto per sempre dentro di noi. Così è – ad esempio – per la giacca verde del padre l’oggetto, la cosa che, se pure senza caramelle nelle tasche, resta appesa alla poltrona; così è per il ricordo di quel sentimento del riso che nasceva quando con la mano/(il padre inventava) contro il muro/ un cane una farfalla/ o un’aquila lontana… così è perché oggetti e ricordi si fondono, attraverso l’espediente del correlativo oggettivo, e si fanno un tutt’uno nella mente dell’autore che ce ne restituisce l’integrità e la profondità d’insieme.
Cinzia Demi
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