Come ventagli, Luigi Oldani (Samuele Editore 2019, collana Scilla, prefazione di Paolo Lagazzi).
Innamorato degli infiniti, spesso incredibili modi che ha il mondo di creare intarsi o spiragli di bellezza, Oldani ci invita di continuo, fra le righe dei suoi scarni e radiosi, gioiosi e melanconici versi, a sentire la musica che si sprigiona anche dalle dissonanze, dai contrasti o dai capricci apparenti della Legge del cielo (il Dharma), legge che sembra a volte ritmata da un artista jazz (“Dietro le nubi / tante stelle stasera / ascolto jazz”). Imparare ad ascoltare, a vedere, a fiutare il mondo con tenerezza e compassione è essenziale per entrare in sintonia con l’anima vera delle cose, con la grazia degli eventi minimi e immensi d’ogni giorno, con la poesia degli incontri irripetibili: una gatta che sogna miagolando mentre “ride la luna”, delle barche ondeggianti accanto a un gabbiano che plana sull’acqua, un’auto che passa nella sera toccando una stella… Inseguendo le volute, le curve, i soffi, le epifanie erratiche di questo folle e meraviglioso universo, la mente di Oldani è simile a quella evocata dal maestro Dōgen nello Shōbōgenzō: “quando le nuvole corrono la luna si muove, quando una barca naviga la riva scorre”. Nello stesso tempo il poeta sa preservare la libertà del distacco, la fermezza di uno sguardo capace di dimorare nella quiete, nella forza semplice del vuoto. Uno dei suoi haiku più belli rappresenta, con la leggerezza amabile di uno schizzo, l’incontro paradossale e necessario, in ogni spirito nutrito dallo Zen, fra il movimento e l’immobilità, tra la partecipazione e il distacco.
Con queste parole Paolo Lagazzi introduce Come ventagli di Luigi Oldani. Il riferimento, da tenere bene in considerazione, è l’haiku di cui Toni Piccini, in suo suo scritto, disse:
Nella composizione d’un haiku devono venire rispettati i seguenti punti:
Esclusione dell’Ego
anche quando si scrive in prima persona -raramente- si diventa funzionali alla composizione, ovvero si diviene complemento e non si rimane protagonista, non l’elemento su cui si focalizzerà chi legge.
Essenzialità
non vi deve essere alcuna parola inutile o in sovrappiù, viene assolutamente evitata la ridondanza: l’Haiku rifugge da trucchi per “catturare” chi lo legge.
Semplicità
l’Haiku è una poesia che usa parole semplici, la sua comprensione dipende dalla libertà mentale del singolo, non dal suo grado di cultura: deve poter essere compreso tanto dal professore universitario quanto dall’analfabeta, indi i riferimenti culturali vanno evitati, tranne nel caso di componimenti dichiaratamente dedicati o scritti in tributo a.
Universalità
vale quanto scritto per la semplicità, poichè deve poter essere compreso in ogni parte del mondo
Evitare il giudizio
nel testo non devono essere presenti né il concetto di positivo né quello di negativo, l’Haiku non afferma ciò che è “bene” né ciò che è “male”
L’Haiku non deve contenere un concetto né proporre un’idea
è una poesia che mostra, non che dimostra, né vuole convincere; l’interpretazione del testo è a totale libertà del lettore
l’Haiku non contiene narrazioni né affermazioni: porge immagini
ovvero: non “è così” ma “questo”. Parimenti non contiene imprecazioni né sfoghi personali
l’Haiku non ha titolo
per non dare indicazioni e conseguentemente influenzare il lettore
l’Haiku esclude la rima
onde evitare di “catturare” facilmente il lettore, sviandolo dal contenuto
l’Haiku si basa sulle due immagini o sull’immagine che contiene e sulla capacità evocativa del lettore, che diviene così parte attiva
26 gennaio 2016
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Allo stesso modo Luca Cenisi, nel suo acclamato La luna e il cancello (Castelvecchi 2018), afferma:
Il fascino che irradia da uno haiku risiede in quella mite e inattesa sorpresa che colpisce lo spettatore durante la lettura, laddove un oggetto (o una situazione) apparentemente scontato e comune si scontra con un angolo prospettico del tutto nuovo, sintomo di un’illuminazione subitanea e irripetibile che proprio nell’essenzialità del costrutto riesce ad esprimere tutta la sua pregnanza.»
Emerge quindi più o meno chiaro che l’haiku vive del rapporto che instaura con il lettore, chiamato da Cenisi addirittura spettatore. In questo Luigi Oldani si dimostra particolarmente abile a lanciare il tradizionale sasso nello stagno lasciando allo spettatore il piacere (non l’onere) di contare i cerchi armonici che si formano.
Ogni giardino
ha una rosa canina
mi graffio la mano.
Rimango in piedi
all’erba falciata
… una preghiera.
Il gelsomino
offre il suo profumo
vecchio l’alloro.
Tra sassi e spine
mi sono profumato
rosa canina.
Pesa il boccio
si muove si gira
il maggiociondolo.
È immobile
il platano all’alba
notte in bianco…
Per riuscire a instaurare un rapporto privilegiato con il lettore/spettatore il poeta d’haiku (mi si perdoni la bruttissima definizione che spiegherò più avanti) deve in qualche modo essere aperto a un dialogo che prescinde da quanto lui dice, che prescinde da lui stesso e affonda le sue radici nell’immagine che viene donata.
Va da sé quindi che l’apertura non è al lettore/spettatore ma in qualche modo lo esclude. L’apertura è al mondo, alla realtà. Il Poeta d’haiku diventa la realtà e si mostra evocandosi al lettore/spettatore.
Alessandro Canzian