Come ventagli su Poesia del nostro Tempo

 
 
da Poesia del nostro Tempo
 
 

I centoundici haiku che costituiscono la silloge Come ventagli (Samuele Editore 2019) di Luigi Oldani intessono, pagina dopo pagina, una trama poetica basata su moti interiori ed esperienze personali intrecciate a doppio filo con particolari naturalistici significativi propri del genere haiku. Il tessuto poetico che ne deriva è caratterizzato da un senso di leggerezza e levità (karumi, 軽み) dal quale traspare tutta la sensibilità non comune dell’Autore. Questi riesce, inoltre, nel non semplice compito di sostanziare il fascino che emanano i suoi versi (shiori, しおり) e che irradiano, quasi come se brillassero di luce propria, il lettore coinvolgendolo intensamente andando oltre la mera parola scritta. Le frequenti e continue allusioni al buddhismo zen, con il quale l’Autore è entrato in contatto grazie alla consuetudine di frequentare il Tempio Shinnyoji di Firenze, sono palesi e costituiscono un leitmotiv che pervade e caratterizza l’intera Opera. Del resto questa peculiarità della poetica di Oldani è già presente nei suoi lavori precedenti nell’ambito della poesia di origine estremo-orientale, delineando il suo stile compositivo e la sua sostanza lirica: basti ricordare, a tal proposito, la silloge Haiku italiani (Luigi Oldani, Samuele Editore 2016). L’Autore in “Come ventagli”, così come nella silloge precedente testé citata, fa propri i capisaldi del pensiero Zen come, ad esempio, lo hic et nunc, esaltando, al massimo grado, il momento presente nei suoi scritti. Emblematico, in questo senso, il seguente componimento dove, appunto, viene privilegiato il “qui ed ora” in un’ottica squisitamente Zen:

 

una folata

e nudo è il platano

zazen d’autunno

 

Altri versi di chiara impronta zen, contraddistinti da una pregnanza ed evocatività che Oldani sa ben incarnare nello spirito che anima il genere poetico dello haiku, sono i seguenti nei quali risalta, con intenso nitore, quel particolare corollario estetico chiamato yūgen (幽玄). Con questa parola i giapponesi indicano il senso di profondità e mistero proprio di quell’atmosfera capace di far percepire al lettore un universo “altro”, una dimensione diversa da quella ordinaria colma di misteriosa unità e di difficile definizione dove ogni cosa è avvolta da un vago alone di ineffabilità, come un’eco impossibile da comunicare attraverso le parole:

 

chiudo gli occhi

e sono dappertutto

vento di marea

 

Da un punto di vista stilistico-formale, i componimenti della raccolta sono caratterizzati, per la maggior parte, dall’omissione dello stacco (kire, 切る) che non viene reso graficamente mediante l’utilizzo dei segni interpuntivi, bensì l’Autore ha preferito privilegiare l’aspetto semantico conferendo una cesura di significato fra le due immagini proposte in uno stesso componimento (toriawase) piuttosto che marcare la pausa con un segno grafico o alla fine del kamigo (primo ku) o alla fine del nakashichi (secondo ku).

Le scelte lessicali e il registro linguistico adottato da Oldani, in linea con lo “spirito” che pervade la poesia haiku, sono semplici, diretti, immediati e, a tratti, elementari. E non può essere altrimenti per un genere poetico che è scevro di pomposità e fronzoli lessicali favorendo, in tal modo, il compito del lettore di “chiudere il cerchio” tracciato senza alcun compasso fra lo scrittore di haiku (haijin) e fruitore dello scritto. Fruitore che, ricordiamolo, ha sempre un ruolo attivo nella comprensione dei diversi piani di significato di una poesia haiku e nel (ri)vivere in prima persona il componimento.

Per quel che riguarda lo schema metrico, i componimenti, per gran parte, rispettano il modello “canonico” del 5/7/5: per alcune liriche il conteggio sillabico segue quello ortografico mentre per altre l’Autore ha optato per il computo sillabico metrico. Salvo, come dicevamo, alcune eccezioni in cui il metro viene violato, anche se solo di pochissime sillabe, al fine di privilegiare una forma espressiva più ampia e meno dogmatica, come in questo mirabile componimento:

 

libeccio serale

in casa entra

l’ago di un pino

 

Antonio Sacco

 
 
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