In Corpi solubili le sezioni sono piccoli o medi nuclei di testi, contenitori apparentemente disarticolati l’uno dall’altro.
Un’evidenza? La prima si intitola PRIMO ATTO e a essa non succede né un secondo né un atto conclusivo. È lì, sola, apertura inaugurale sul niente. Ma è un’incongruenza apparente, perché nel vero le sezioni dialogano eccome l’una con l’altra, sia nel tessere la trama totale con fili comuni che le percorrono più o meno segretamente; sia in modo più esplicito ponendo e risolvendo domande ed enigmi, anche laddove sembra assumano la forza annichilente delle aporie. Altra evidenza? La sezione RIDOTTI INGANNI PRIMA DI SPARIRE termina con la poesia (IMPROBABILE), i cui ultimi versi sono:
Sentono alla fine il giorno sognato come l’ultimo, incerto
Materiale di una veglia, che somiglia a ciò che lo nega:
un corollario, un melodramma, un testamento.
“E come credi finirà?”
Dei quali val la pena almeno notare la bellezza del climax ternario, la consonanza interna del secondo verso, l’assonanza finale del primo col terzo. Ma è a quella domanda finale, discorso diretto come lacerto di un dialogo appena accennato, a fare da ponte con la sezione successiva, SPARIZIONE/DISSOLVENZE, i cui testi sembrano fornire una parca ma precisa casistica in risposta. La prima è, in questo breve florilegio, stentorea nella sua chiarezza:
Qualcuno più distante corre, sotto le stesse rose.
Due fidanzati in lite, con lei che se ne va: feroce
Si gira, quando lui la tocca, per dirgli a muso duro che –
No, niente (perché è lì che la vede. A terra, e sa. Com’è finire).
La chiusa risponde a quella domanda e insieme dice di un mondo che è pieno di segni; le parole che dovrebbero mettere fine a una relazione sono interrotte dal fatto compiuto, da un’altra interruzione – di vita, forse; attraverso la lacuna nel dire della ragazza (un altro dialogo interrotto) si rimanda intratestualmente alla scena forte della poesia, la donna caduta (svenuta? Morta?) e ora distesa lungo il muro, mentre tornava dalla Conad / sta dove è scritto in grande “W”, solo così, / una rivolta afasica, che non sa più che cosa viva / e a cosa inneggi […].
In questa immagine della ragazza che parla e poi tace, che dice e poi non dice, generando il dubbio che la sua relazione sia insieme finita e non-finita, così come la donna distesa è insieme morta e non ancora morta, s’ adombra uno dei temi forti della raccolta, forse il più forte, quello della relazione tra la Storia e le storie.
Alberto Trentin
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