Il poeta è una strana creatura, possiede il dono dell’ubiquità: è qui fisicamente ma sa resuscitare con la parola altri tempi e luoghi, divenuti attuali, presenti, per rivelare, di essi, ciò che non riuscimmo a comprendere del tutto, o quanto, del tempo, serve oggi, per nascere nuovamente a noi stessi. Rinascere padroni e consapevoli attraverso la focalizzazione di particolari, suoni, colori, tutte rivelazioni di un senso riposto. Jung, tra altre cose anche fine critico di opere d’arte, definisce tutto ciò “fare anima”. E l’anima, la psiche, notoriamente non ha confini di tempo-spazio, come accade nei sogni. La sua immagine prima è la farfalla. Tra sogno e ricordo esiste forse una differenza? La loro somiglianza ne fa due fratelli gemelli.
Questo l’assunto poetico della silloge Da capo al fine (Samuele Editore; p. 66, 2016 ), ricordare come riappropriazione, seconda raccolta poetica di Maria Milena Priviero con prefazione di Silvia Secco.
Infatti l’artista pone in esergo le parole di Rainer Maria Rilke che esplicitano il valore conoscitivo della “reverie”:
“nasciamo, per così dire, da qualche parte; soltanto a poco a poco andiamo componendo in noi il luogo della nostra origine, per nascervi dopo, e ogni giorno più definitivamente”
Il ricordo dunque, anzi la rimembranza direbbe Leopardi (ma anche Platone è d’accordo, per non parlare di Proust), possiede la facoltà di ricreare nell’anamnesi.
Priviero sa che il futuro consiste in un ricalcolo dei “numeri” che intessono la vita; immette in modo originale l’armonia musicale numerica di Pitagora nei suoi versi. Numeri
“che un resto lasciano certo
una via ancora possibile
forse a un ricalcolo.”
È un’operazione compiuta con strumenti personalissimi. L’artista sceglie uno stile colloquiale narrativo con andamento musicale, evidenziato anche dal titolo, tratto dal linguaggio degli spartiti; “da capo” indica la ripetizione di un motivo di particolare effetto. Qui nei versi l’autrice vuole sottolineare la natura circolare del tempo, con la consapevolezza della compresenza di passato-presente.
Graziella Atzori