da Fucinemute – su Sandro Pecchiari

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Ed è ancora tempo di poesia

Due raccolte di Sandro Pecchiari

Verdi AnniHa ancora senso scrivere poesie nel ventunesimo secolo? È una domanda che mi pongo spesso, specialmente alle presentazioni di libri di poesie. E la risposta che, altrettanto spesso, mi do è: no; non sempre, almeno. Quando si assiste alle presentazioni di raccolte di poesie di autori “non famosissimi”, “dilettanti” se vogliamo dire, è difficile stabilire cosa sia peggio: le presentazioni pompose – e noiosissime – del critico letterario di turno, la recitazione traboccante pathos inutile dell’attore o attrice che legge i versi, e che si immedesima troppo in Vittorio Gassman od Eleonora Duse, o le poesie stesse.

Naturalmente ciò non significa che sia sempre così, ma se fin troppe persone si improvvisano scrittori, ancora di più si improvvisano poeti. La trappola è facile: si prova una forte emozione, si prendono quattro o cinque parole, magari alcune particolarmente auliche e pompose, si va a caporiga, altre quattro o cinque parole, caporiga di nuovo, e così via, per alcune righe. Ma queste espressioni di stati d’animo ben difficilmente meritano il nome di “poesie”.
Eppure in mezzo a tante raccolte di versi di cui potremmo volentieri fare a meno, ogni tanto appare un volume degno di nota. Delle poesie che ti arrivano direttamente al cuore ed allo stomaco, perché nascono da persone che di poesie ne hanno lette, e studiate, tante, prima di decidersi a scriverle a propria volta. Perché, a mio modesto parere, è questa la conditio sine qua non per chiunque voglia scrivere, che siano versi o prosa: aver letto e studiato tutta la letteratura possibile, per potersi concedere il lusso di sviluppare una propria capacità di scrittura che sia originale e critica al tempo stesso.

In mezzo a questo mare magnum di versi spiccano due piccoli volumi scritti da un poeta triestino, Sandro Pecchiari. Pubblicati da Samuele Editore nella Collana Scilla, sono due diamanti preziosi che toccano le corde più profonde dell’animo, strappando anche però di quando in quando un sorriso.
Le poesie di Pecchiari sono costruite su delle fondamenta di cemento armato. Non sono versi improvvisati ma dentro c’è la letteratura di tutto il mondo, e non solo per l’uso che l’autore fa di varie lingue e dialetti; ci sono i suoi viaggi, filtrati attraverso gli occhi del suo cuore; gli amici, i compagni, le persone sconosciute ma che per un istante hanno dimorato nel suo animo, e lì hanno trovato un rifugio. L’amore e l’amicizia, il trionfo della vita e la sconfitta della morte, la gioia e la mestizia, il sole e l’oscurità della notte, tutto questo si fonde insieme e ci conduce in un viaggio da poter rifare migliaia di volte.

La prima raccolta di Sandro Pecchiari s’intitola Verdi Anni, ed è divisa in tre atti come un’opera teatrale che ci fa tornare nel passato (Geografia Di Fabrizio, il compagno amato strappato alla vita troppo presto); ci conduce nel presente, tenendoci per mano, facendoci percorrere assieme a lui la stessa strada (Viandante) ed infine si ferma nel porto rassicurante del presente-futuro, dell’avventura esotica vissuta con l’attuale compagno Sameh, nelle sue terre assolate e tormentate, nelle sue feste colorate ma anche nella difficoltà di mantenere vivo un rapporto, un amore, quando in mezzo, a dividere le strade, non ci sono bivi perigliosi ma migliaia di chilometri (Geografia Di Sameh).

Pecchiari e Garboni

Non è facile parlare di poesie. Non sono trame di romanzi che si possano raccontare. Le poesie vanno lette, o evitate. E quelle di Sandro Pecchiari vanno lette, vissute, fatte entrare nel nostro io profondo. Alcuni versi possono dare un pallido riflesso dell’immagine nascosta tra le pagine del volumetto, ma devono servire solo a far desiderare di alzare quel velo che le nasconde a chi non ha ancora avuto la gioia di leggere le sue opere. Altri versi possono colpire di più una persona invece che un’altra, per oscure ragioni che noi non dobbiamo analizzare perché il farlo non avrebbe senso. Meglio allora lasciarsi trasportare dall’emozione che ogni sua poesia ci regala, magari soffermandoci su versi particolarmente affascinanti come questi tratti dalla poesia Fine Di Partita del primo atto:

ed eri bello come le tue vesti
le tue scarpe troppo grandi
per queste strade di fango diluviato
le tue mani a sciabola di vento
irrigidito sulle pale e le parole

Pecchiari ci parla della sua terra, ma anche di quelle importanti che ha visitato nella sua vita, come il viandante che dà il titolo al secondo atto. Un viaggio attraverso il tempo, le emozioni ed i continenti che ci porta direttamente al terzo atto, in quella terra martoriata che è la Palestina, dove è nato Sameh. Sameh che ha versato nuova linfa curativa sulla ferita lasciata da chi se ne è andato, troppo presto per poter accettare la sua dipartita, portando con sé nuove emozioni ma anche nuove esperienze:

e hai portato l’ampiezza del sorriso
e la forza dell’oriente, gli sguardi densi
e il suono affilato del tuo abbraccio
(Wiping My Years)

Le Svelte RadiciVisto il successo del primo volume, Sandro Pecchiari ne ha pubblicato un secondo, intitolato Le Svelte Radici. Anche questo secondo volume è diviso in più parti, e si apre con l’atto Un Prudente Distacco. Sin dai primi versi l’aria che si respira è diversa: il viandante Pecchiari ha rallentato il ritmo dei suoi viaggi, e sembra voler tirare un po’ il fiato in qualche porto tranquillo. Versi d’amore, dove per “amore” s’intenda il concetto più ampio del termine, non solo l’amore carnale. La distanza continua a pesare, ma l’esperienza degli anni invita a volare anche chi non l’abbia fatto fino a questo momento. Se i luoghi lontani ed esotici contraddistinguevano la prima raccolta, Svelte Radici apre invece delle finestre soprattutto sui luoghi cari all’autore, quelli in cui vive ed ha vissuto. Si prosegue poi con l’atto De Rerum Natura, dove più forte si percepisce il desiderio di fermare la corsa forsennata degli anni precedenti:

Vorrei fosse così la vita,
un osservare lento senza soste,
con qualche riflessione, dei ricordi,
col tempo in faccia
e gente rinnovata
che si narra.

È una poesia più personale, quella presente nella seconda raccolta, una sorta d’autobiografia se si vuole leggere tra le righe – o meglio, i versi – più sincera ed esplicita di un vero e proprio diario, dove i luoghi, le persone, gli amori, le passioni emergono velati di una sottile malinconia, di quella che assale spesso il viaggiatore che decida di fermarsi per un po’ a tirare il fiato. Il Posto Nuovo ci riporta di nuovo lontano, per infine riavvicinarsi a casa, e dare spazio all’ultimo atto di questa seconda raccolta, che ne porta il nome: Le Svelte Radici, forse la parte più intimistica di tutte.

L’arte di Pecchiari è raffinata, colta, ricercata ma mai leziosa, mai colma di manierismi ed orpelli superflui. È una poesia che ti accarezza come una piuma, e ti lascia in bocca quel gusto agrodolce di chi abbia appena assaggiato qualcosa di delizioso… ma finito troppo presto.
Nell’attesa quindi, come auspicabile, di altre raccolte, lasciamoci cullare da questi due volumetti (il diminutivo è vezzeggiativo!) che arricchiranno le vostre biblioteche personali.

Un’unica, ultima nota, rivolta però non solo a queste raccolte ma a tanti volumi di poesia in generale: forse le prefazioni hanno fatto il loro tempo, e sarebbe meglio evitarle. Un libro di poesie non si può spiegare, come ho già detto; quindi sarebbe forse meglio lasciare la parola all’autore stesso, se vuole dire qualcosa al suo lettore prima di iniziarlo al viaggio, piuttosto che proporre superflui voli pindarici di critici che si auto-compiacciono della propria bravura, o lasciare subito la parola ai versi stessi, che parlano meglio di chiunque altro.