da “Verso un’ecologia del verso” di Marco Strano

alberti

Malascesa, di Erminio Alberti (Samuele Editore 2013) – recensione di Marco Strano

Chiamiamola necessità di adeguamento ma per parlare di Malascesa, la prima inedita silloge di Erminio Alberti, bisogna utilizzare di rimando una lingua che racconti la vitalità della poesia espressa in questo nuovo libro edito da Samuele Editore.

E non è tutto. Il linguaggio dell’Alberti muta naturalmente nei confronti di una certa qualunquista poesia contemporanea, così da indurre ugualmente chi vi si accosta a pensarla, digerirla attraverso figure del tutto nuove. Non rivoluzionarie. Nuove.

E qui prende piede il primo punto interrogativo che pone la lettura di queste poesie: esse, come da subito appare, svolgono un ruolo vivificatore della parola – per dirla con Montale – oppure sono l’estremo tentativo di “dire qualcosa” senza riuscirvi pienamente?

La risposta, sciolta da qualunque buonismo o favoritismo verso l’autore personalmente mi appare la prima.

Ce la rivelano i versi, che parlano da soli, senza che si forzi la mano circa le incessanti interpretazioni, o meglio ipercorrettive interpretazioni, che parecchie, certamente troppe, poesie dell’ultimo cinquantennio portano a fare, per provare non solo o soltanto a commentarne i versi quanto invece a comprenderli!

Si parla appunto della lingua, della forma che i versi in Malascesa hanno naturalmente adottato rivelando tutto questo paradigma, suo malgrado, di essere poesia di rottura. In Malascesa vi è una esplicita rottura nei confronti di certi versi ermetici, o forse versi semplicemente svuotati di senso e per questo doverosamente inaccessibili.

 *

Il giorno dei morti
da rito
si va al camposanto.
Ed al mio paese il campo
è sulla collina, come in Spoon River.
Di fronte al paese, cappelle e lumini
(quale alter ego!):
un cimitero senza pretese.

  *

Non intimidisce l’utilizzo della similitudine a Spoon River né quell’incipit che risente dell’’A Livella. La lingua, anche di chi ad alta voce rilegge, è sciolta. Le parole non sembrano essere ordinate dal caso bensì reggono una semplice struttura che lega inevitabilmente il lettore al senso profondo del verso.

Come ad esempio in questi versi la poesia all’inizio esprime quello che poi lui stesso chiamerà: “il viver paure ed angosce”. La vita, vissuta con paure. La vita che è angoscia e sentimenti violenti espressi nell’essenza della consapevolezza del liquore puro della vitalità. Vivere senza Vita, sopravvivere mentre si cammina e si scontra la gente / non ne resta niente / di questo continuo incrociare / destini, causali d’enormi sistemi variabili. Una crisi cominciata stando nel paese, il mondo – inquinato alter ego – della collina di lumini e cappelle. Tutto sta a guadare il fiume che scollega le due identità di vita e morte. E passare così dalla morte alla vita, passare al cimitero perché

   *

Vado alla tomba dove mio nonno
si decompone.
Penso: “son quello: il frutto del frutto dei lombi
del nonno”;
mi meraviglio.

   *

Il simulacro alla finta morte, quella fisiologica tutta insita nella decomposizione, e nulla più, è lo spunto salvifico. Attraverso uno sguardo sincero tornare a meravigliarsi, come un bambino per il quale meravigliarsi delle cose nuove vuol dire cominciare a vivere.

Qui vuol dire tornare a vivere. E lo dice così, senza marxismi o esose complicazioni modaiole, frutto degli anni bugiardi di una certa poesia di colore, di una certa poesia di appartenenzaLa morte è di tutti / ed è vanità tutto il resto.

Il destino comune, il riconoscersi nell’Essere Umano che vive e sopravvive a se stesso rende la morte liberazione dall’angoscia della solitudine del sinolo carne-anima

   *

Fu che quand’era bambino
anche allora era solo.
Solo, anima e corpo:
vera solitudine fatta carne.

   *

Un richiamo alle Occasioni? Stilisticamente ne sembrano una postilla postuma. Ma appunto le parole in Alberti riprendono significato, vita. Prende significato e vita la struttura semplice ma carica di enjambement che, spezzando il verso sapientemente, conferiscono alla lettura quella pausa che pare quasi un respiro. Il respiro appunto di un verso che prende vita, di una poesia che si dichiara funzionale alla redenzione dell’anima malata che smette di sapere che «la Vita è fatta di semplici cose e non d’eleganza forbita» (Gozzano).

Per vivere è necessario buttare le angosce oltre la morte. Non ridendone come certi cari Crepuscolari, in quanto il destino comune accomuna il malato ad ogni altro malato: tutti malati, nessuno malato!

  *

“Il vano sparisce! Ed è senza peso!”
mi dico gioendo e gioisco pensando
di esser contento di vivere
e scemo nel viver paure ed angosce.

  *

Accettarne della vita le regole pur continuando a viverla. Come in un gioco delle parti, magari un gioco assurdo ma non certo subendo la vita come un vizio assurdo.

Cosa importa della morte se non annienta la nostra linfa vitale dell’anima?

   *

Godiamo la giostra

        Andremo poi
tutti un dì
a
concimare la
terra:

   *

Scacciate le macroglosse isteriche che strumentalizzavano una lingua soggiogandola a serva del proprio ego scalcinato e breve ecco l’italiano della convenzione, senza astrazioni o cammei alla parola indecente. Si diceva della convenzione, sì! Ma della convenzione orale, dove la prosaicità si eleva alla parola confessata dalla bocca, incarnando in un nuovo genere l’oralità poetica.

autore

E dando ragione, se pur in parte, a Maria Grazia Calandrone che ha curato la prefazione della raccolta, vi è qualcosa di siciliano in questi versi. Sì! Ma certamente non i fumi, aliti di vento che spirano nel Mar Mediterraneo, che esalano i versi tra i «teatri della Magna Grecia».

L’intuizione è comunque fortunata, se pur la centratura è da rivedere. Perché Alberti è sì siciliano, molto siciliano certamente. Ma è nella rievocazione ancestrale della vita, del passato genetico, della vita nelle cose, della salvezza che sta nella vita delle cose, degli sguardi conoscitori, delle occasioni a parlare di sicilianità.

Una caratteristica del tutto siciliana, propriamente siciliana che il pubblico dei più quasi del tutto sconosce ma che Alberti in Malascesa racconta sommessamente, restituendo alla sua terra quel qualcosa di sacro che lei, evidentemente, gli ha donato.

Marco Strano

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