Zhao Lihong, uno dei massimi poeti cinesi contemporanei, mai edito in Italia, in questo testo tradotto da Marco Sonzogni e Flaminia Cruciani per la Samuele Editore (in pubblicazione a fine 2020 con traduzione e postfazione a loro cura, prefazione di Adonis e copertina di Ado Furlanetto, qui un’anteprima) esprime i cardini più essenziali e fondamentali di tutta la sua poetica.
Una lingua potente e precisa perché essenziale e diretta, una bellezza a volte gioiosa a volte dolorosa, come se i caratteri della lingua cinese fossero tatuati sulla pelle di chi legge, commenta Marco Sonzogni presentando tale testo. Una poesia filosofica, luminosa e illuminante, meditativa, che riflette sull’esistenza. Una poesia che ha commosso le masse al Festival di Medellín, scrive invece Flaminia Cruciani accompagnandone l’invio.
Zhao Lihong è sicuramente uno dei poeti più alti e importanti dell’attuale letteratura internazionale e lo dimostra nella capacità di dire, in un singolo testo, un’intera poetica. Come se una singola goccia d’acqua portasse in sé non solo il DNA, ma la storia e la voce del mare e dei suoi organismi.
Una poesia in presa diretta, in prima persona che però non coinvolge l’io ma anzi lo proietta in una compartecipazione del tutto. Stringendo la matita in mano / penso all’albero che l’ha generata / l’albero che è stato abbattuto / ancora ricorda il bosco. Un albero che fa pensare a tratti all’albero di G.M.A, Quintero, pur quest’ultimo impregnato di maggiore drammaticità (Diventa l’albero / rondini e scarperadici / uccelli per destinazione. / Il significato di forma / inghiotte il significato / che vuole il suolo soffice, da Diventa l’albero, Samuele Editore 2020, qui).
Una zuppa salata quanto una matita, un aquilone, una sciarpa, diventano specchi profondissimi e riflessi verticali nel tempo. Contengono non solo echi, ma memoria, tratti, segni concreti del loro passato lasciando intuire che noi stessi siamo specchi ed echi di memoria d’altro. Dove tutto esiste contemporaneamente in questa catena della necessità, perché i bachi da seta che sognavano di balzar fuori dai bozzoli e di librarsi in alto / invece sono state bollite per la seta restano nella sciarpa di seta sul petto, e ne sono il motivo necessario, e l’altrettanto necessario ricordo.
Ricordo che non può che concludersi con la consapevolezza del tutto. Del tenero lamento quanto dell’amara coppa degli anni che dicono una storia inasprita, allontandosi quanto più possibile dalla pesantezza del pensiero filosofico occidentale.
Perché se Zhao Lihong stesso è filosofo nella sua poesia, i suoi esiti sono diametralmente opposti da quanto potrebbe essere scritto in ambito occidentale. Il dramma, la consapevolezza della storia inasprita, non porta disfacimento o rassegnazione, o aspra conoscenza, ma una corda di gentilezza che da meravigliosamente motivo e ragione d’essere al tutto in tutti i tempi.
E si noti: tutto si riflette nel tutto. Il filo dell’aquilone, il fragile filo che tiene in mano e che riporta un padre invecchiato alla sua infanzia è il medesimo filo che compone la sciarpa di seta sul petto del baco che sognava di librarsi in alto è invece viene bollito. Ed è il medesimo filo che viene tessuto nella corda di gentilezza che emerge dal lamento, dal cantante che ha suonato e cantato / quello triste e solo / che ha assaporato l’amara coppa degli anni.
Quell’eppure da una storia inasprita ha tessuto una corda di gentilezza misura non solo la grandezza della poesia e del pensiero poetico-filosofico di Zhao Lihong, ma forse anche tutto il fallimento di una società liquida occidentale sempre più al collasso, dal macrocosmo socio-economico al microcosmo delle esistenze individuali, e delle nostre sempre più terribili solitudini.
Alessandro Canzian