“Ai poeti resta da fare la poesia onesta” diceva Umberto Saba e attorno al concetto di poesia onesta si è dibattuto molto, nel corso degli anni, tra chi lo riteneva un modo riduttivo e un po’ consolatorio di definire certa poesia di non altissimo livello e chi invece lo riferiva alla poesia che ha in sé la chiarezza e la sincerità (intellettuale e morale).
A questa seconda accezione appartiene la scrittura di Michele Paoletti, i cui versi sono incontrovertibilmente chiari e sinceri e ciò non toglie nulla al loro valore, anzi.
Propongo alcuni testi tratti dalla prima raccolta pubblicata da Michele Paoletti, Come fosse giovedì (Puntoacapo Edizioni, 2015), in cui risalta la passione del poeta per il teatro (passione del resto dichiarata anche nelle note biografiche).
Il trapezio, la commedia, il cerone: appaiono i simboli della rappresentazione, nella quale (e della quale) il poeta è al tempo stesso voce recitante e spettatore.
A seguire alcuni testi da Breve inventario di un’assenza (Samuele Editore, 2017), in cui la scrittura tratteggia con vena malinconica il peso di una perdita: peso e perdita, per l’appunto, come nei versi di Amelia Rosselli citati in esergo.
Quest’ultima raccolta conferma le qualità di poeta che Paoletti aveva già mostrato nella precedente: la chiarezza e l’onestà di cui si parlava all’inizio sono mantenute, così come pure la ricerca stilistica (rigorosa e niente affatto banale).
La sua poesia è un palcoscenico in cui si rappresentano le sconfitte, i dubbi, le perdite, ma pure le speranze dell’essere umano.
Enea Roversi
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