da Alma Poesia
Nota di lettura a “Fraintendere le stelle” di Vernalda Di Tanna
Il termine “immortalare” è facilmente associabile a quello di “fotografia”: una foto ci immortala o immortala qualcosa in un determinato spaziotempo; così facendo, sottrae a morte certa noi e le cose, eternizza, sospende la caducità; eppure, contestualmente, ci ricorda che il soggetto ritratto non esisterà più nella forma esatta in cui lo scatto l’ha congelato, ci rammenta, cioè, che è già finito, cessato, passato. La fotografia inoltre, e bene lo esplicita Roland Barthes in La camera chiara, per quanto tenti di raffigurare qualcuno o qualcosa, non è mai in grado di restituircelo per intero; scrive a tale proposito lo studioso cercando di ricostruire l’immagine della madre scomparsa: «Io la riconoscevo sempre e solo a pezzi, vale a dire che il suo essere mi sfuggiva e che, quindi, lei mi sfuggiva interamente. Non era lei, e tuttavia non era nessun altro. L’ avrei riconosciuta fra migliaia di altre donne, e tuttavia non la ritrovavo. La riconoscevo differenzialmente, non essenzialmente. La fotografia mi costringeva a un lavoro doloroso; proteso verso l’essenza della sua identità, mi dibattevo fra immagini parzialmente vere, e perciò totalmente false. Dire, davanti alla tal foto, “è quasi lei!” era per ma più straziante che non dire davanti a talaltra “non è affatto lei!”. Il quasi: atroce regime dell’amore».
La scrittura di Vernalda Di Tanna nel suo Fraintendere le stelle (Samuele Editore – Pordenonelegge 2021) si presenta come un susseguirsi di fotogrammi che conservano le caratteristiche di quanto fin qui evidenziato: la necessità di estendere la durata di ciò che è per sua natura effimero; la consapevolezza che l’immobilità indotta è di per sé sinonimo di morte; la constatazione che se è ancora è possibile tentare una comunicazione, questa non può essere che frammentaria, non può che procedere per brandelli, i quali, anche una volta uniti, non sono comunque in grado di ridarci l’intero. Di Tanna inscrive il suo dire poetico nella disillusione a cui la società moderna induce le menti pensanti, tristemente consapevoli che è pressoché impossibile sottrarsi alla logica del do ut des e che difficilmente si può fare perno su qualcosa di davvero solido, travolti come siamo dallo scorrere liquido – per riprendere un termine caro a Zygmunt Bauman – di identità, relazioni, merci.
Alessandra Corbetta
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