da Fare Voci
Prima che l’età ci assomigliasse
Vernalda Di Tanna, “Fraintendere le stelle”
Sono ricorrenti su giornali e litblog lugubri requiem sulla “morte della poesia”, intonati da teorici di avanguardie che d’avanguardia – cioè di nuovi linguaggi dopo la rottura con la tradizione – non hanno proprio nulla: storicamente le avanguardie hanno abbattuto steccati e confini tra le arti e le tecniche, dando voce a nuovi mondi – come oggi la tecnologia.
Per contrasto viene in mente un libro molto bello – questo sì “nuovo” per temi e scrittura – “Fly Zone” di Bernardo Pacini (Amos Edizioni 2020, collana A27), dove il protagonista, chi dice io nei versi, è un drone: sono di un drone, cioè di una macchina, gli occhi che guardano il mondo; nei versi di Pacini irrompono in italiano e inglese le parole della tecnologia, sgretolano l’umano, che però ritorna nei temi del dolore e della pietà. Pacini è “avanguardia”, senza proclami, solo con l’intelligenza dello sguardo e della scrittura.
Nessuna “morte della poesia” (si legga un librino delizioso di Cesare Viviani: “La poesia è finita. Diamoci pace. A meno che…”, pubblicato nel 2018 dal Melangolo).
La poesia è tutt’altro che morta, anzi la piccola editoria, custode e scrigno dell’arte dei versi, continua a rivelare nuove voci, spesso di giovanissimi.
È al suo primo libro Vernalda Di Tanna, ventiquattro anni, di Vasto: “Fraintendere le stelle”, nella collana “Gialla” di pordenonelegge/Samuele Editore.
Vernalda scrive versi da quando aveva dodici anni: con la freschezza della sua età dice che “la poesia è per me come un fiore di ciliegio che sboccia in ritardo, la scrittura è un posto, la poesia ne è il giardino segreto” (dal blog “L’altrove appunti di poesia”).
Già il titolo è una vertigine di senso: non solo le stelle come classico libro di lettura del destino, ma come inganno dello sguardo.
Dai versi di Vernalda filtra una buona cultura classica, anche nella metrica e nell’intonazione – “Tardiva ti conobbi che mai viva/ mi frugasti libera d’inciampi”; “Tutto nel disappunto della notte/ rimprovera rimpianti d’altre rotte./ Il coraggio lungamente odora/ ciò che il disamore poi consola” – e il suo sguardo e la sua penna rivelano una già acquisita sicurezza stilistica.
Le poesie di questo libro rivelano una malinconia di vivere insolita in una ragazza di vent’anni: quello di Vernalda Di Tanna è uno sguardo innamorato senza illusioni: “Settembre è una malinconia/ radicata nel volto. Non c’è porto/ né pace sul golfo. Un’ora tardiva/ smonta le altre e cammina”.
Perché “chi resta con i piedi per terra/ perde l’uso delle ali”. Tanto belli i versi di pagina 39: “Se mi arrivasse infame a terra/ un alito di sera, la conferma/ del tuo odore appena colto –/ in una scusa buia, nuda carezza – ci gonfierebbe i cuori come cupole./ Ma non è luce in me che non ti grida:/ sbalordisci la pelle e distogli/ l’attesa dalla promessa intuita./ I frutti a terra e la luce che li irradia”.
Roberto Lamantea
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