Gabriel Del Sarto su Il Giornale Off


 
 
 
 

da Il Giornale Off

 
 

La pietà degli ultimi mesi ha messo sul piedistallo gli operatori del sistema sanitario, ma il poeta non tratta cose meno estreme. Lo dice ogni pagina della silloge di Gabriel Del Sarto, Tenere insieme (Pordenonelegge – Samuele Editore, settembre 2021, pp. 196, € 13), anche dove il suo sguardo si ferma su semplici, fatali dettagli – “il verde quasi/ blu di una sera come questa, a fine/ estate, sollevata dal mondo” –, con una precisione che è già parlare dell’eterno. Salvare, riconoscere, descrivere, ricordare, capire. Raccogliere sfumature e oggetti fatti simbolo. E i pensieri come cose, densi e compositi, uno per uno, per niente cartesiani.

Siamo abituati a indignarci quando le persone vengono trattate come cose. Eppure molti sono condannati a ben di peggio: a essere solo i fantasmi di chi li guarda. A morire della cecità di chi cammina “senza vedere chi, vicino e attorno a lui, vive gli stessi attimi” – ed è la nuova resistenza, la nuova guerra di trincea, per cui un poeta, anni dopo, (l’oscurità depositata in linee che sottolineano i contorni), magari potrà fermarsi e dire la ferita mortale, “quella luce che passa/ fra le cellule buie”.

Il poeta tratta le persone come cose, meravigliosamente esistenti, presenti, percepibili, significative. Come “un rumore di passi bagnati sulla ghiaia”, come “neon/ e altre polveri”, come “margherite, un tappeto, nell’oscurità”, come il “pomeriggio dolce/ che s’adagia nel giorno”, come, nel giardino, “l’ombra della casa”, che “si fa più lunga,/ più spessa, all’ora di rientrare”, come il blu tortuoso di una vena velata dalla pelle di un viso amato. Tutto aggredisce il suo vedere; l’identità delle cose non cede al buio, ed è immensamente più bianco un tappeto di margherite nel buio. “Penso a noi, a quando/ in estate la sera ispessisce le foglie.” Un neonato che dorme, “la trasparenza vasta della sua pelle”.

Anna Valerio

 
 
 
 

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