ESAURITO
Il libro della memoria e dell’oblio
Marina Giovannelli
Samuele Editore 2013, collana Scilla
prefazione di Antonella Sbuelz
pag. 90
Isbn. 978-88-96526-33-0
Vita e morte, presenza e assenza, aspirazione alla pienezza ed esilio nella caducità. E su tutto, naturalmente, realtà e sogno della memoria e dell’oblio.
Queste le anime del nuovo testo poetico di Marina Giovannelli, che, pur nel dualismo di fondo della sua composizione strutturale, trova genesi e motivi ispiratori in un un’unica tensione espressiva e in nuclei tematici fortemente coerenti. Benché infatti il libro sia scandito in due tempi – la raccolta poetica iniziale, a sua volta suddivisa in tre sezioni, e il poemetto Ishtar – i quesiti, le inquietudini e le suggestioni che hanno generato il testo si declinano in un comune percorso di esplorazione del senso – e dei sensi – di fronte all’inesplorabilità del vuoto.
[…]
Nella terza e più recente sezione, Le vie dell’ansia, sembra invece predominare l’assenza, talvolta tradotta poeticamente in correlativi oggettivi che evocano aspetti apparentemente minimi e marginali dell’esistente: ci imbattiamo allora nella “piuma dell’uccello”, nei “rami di guazza”, nelle “muraglie di calcina opaca”. E su tutto “ogni giorno l’assente / irradia la sua presenza”.
Il ricordare, infatti, avviene a lampi, e consente al vissuto di riaffiorare solo in forma di schegge, con discontinuità e incoerenza, attraverso strappi che svelano i vuoti più che i pieni e le assenze più che le presenze.
È questo il volto della memoria cui rinvia il libro di Marina Giovannelli: una memoria miope e balbuziente, una memoria che sgrana o deforma i ricordi, che parla per lallazioni e afasie. Una memoria infedele, imperfetta, spesso vinta. Una memoria costretta ad accettare il suo rovescio, l’oblio, quale proprio ineliminabile doppio o quale propria inconfutabile condanna.
Ma è attraverso l’inesausta tensione dicotomica fra memoria e oblio – fra ciò che resta, ciò che muta e ciò che non si potrà mai dire – che l’io poetico sottopone a interrogativo il senso profondo dell’esistere, cercando coesione e significanza attraverso la tenacia di una coscienza che si espone e si denuda, si cerca e si perde e si cerca ancora, entro o oltre le morti segrete che abitano ognuno di noi.
Antonella Sbuelz
non mi fermo rapita
a osservare gli stormi migratori
né il passero che becchetta nell’erba
preferisco la piuma dell’uccello
di fuoco sfolgorante la notte
il nevermore del corvo
martellare le tempie
la lama nella costola
definitiva
chi si esalta al ciliegio fiorito
alla rana in tuffo nello stagno
per me l’agguato del dubbio
l’inconcepibile teorema
il sale sulla piaga
non credere di attraversarmi
come una luce
muraglie di calcina opaca
resistono agli sguardi
negli angoli fioriscono
oscure profezie ritorni
inappellabili
schegge sonore
frantumano orologi
i giorni svaporano di cenere
non è il tempo che passa
sei tu che passi
da giardino a sera
attraversando
navighi a vista
timorosa d’abisso
incerta d’infinito
tra velari di stanze
distese di papaveri sognate
araldici silenzi
e all’improvviso non è più il tuo tempo
non è più la stagione
altri volti altri quadri alle pareti
e il rintocco ovattato della sera
non vedo più le rose alla stagione
ogni stagione aveva le sue rose
sono rimaste solo canzonette
neanche l’eredità dei poeti
una tautologia mi accompagna
il deserto della rosa
è grazia non concessa
il profumo d’assenza
il vento sulla pelle
non odora d’inchiostro
ogni giorno l’assente
irradia la sua presenza
vapore che non distilla
sulla pelle rovente
cipria di rimandi e assonanze
riveste le pagine consunte
con certezza di luce
nel fermo mezzogiorno
ESAURITO