Prezzo 12 euro
78 pagine
ISBN 978-88-94944-11-2
In questo possiamo bene immaginare che Mina Campaner abbia scritto Il ritorno d’Emmaus spinta da un’esperienza personale che però ha il pregio di non soffocare il dettato con un’espressione eccessivamente intimista ma di testimoniare cosa succede nel cuore di chi accoglie, di chi si affeziona e deve lasciar partire. la difficoltà dell’accoglienza nella consapevolezza, e poi nella realizzazione, di ciò che è a tutti gli effetti una perdita oggi quasi inimmaginabile. oggi, che spinti da politiche non solo italiane ma europee consideriamo l’altro, il “migrante”, un peso da cacciare, da rifiutare, da non riconoscere nonostante lo sfruttamento storico. Mina Campaner oltrepassa questo rifiuto e racconta cosa si perde quando il “migrante” deve ripartire. Quando l’accoglienza diventa un inevitabile saluto. Perché amare altri esseri umani non è mai stato facile nè mai lo sarà, ma è necessario. È necessario anche quando dopo averli accolti li si deve lasciar andare verso altri paesi, altre radici. Con la fede di chi sa di avere lasciato e di avere ricevuto in dono una presenza. una riva.
dalla prefazione di Alessandro Canzian
Il freddo è arrivato presto a novembre.
È caduta l’ultima foglia del nocciolo nel
giardino di casa. Si teneva stretta al ramo
per paura di cadere e rimanere da sola.
Pensai a quando ti strinsi la mano
per salutarti e augurarti ‘buona fortuna’,
era per trattenerti un’ultima volta
un colpo di vento e già eri lontano.
Il freddo è arrivato presto a novembre.
Il giocatore esperto conosce le sue carte
e quelle calate da complici e rivali.
l’abilità è intuire le facce di una mano
dietro il loro dorso. Egli punta, bleffa e
gioca l’asso nella manica. Misura la distanza
tra vincita e perdita, soppesa e azzarda
per lui il rischio è il piacere di ogni partita.
Ho intravisto un segnale di disagio,
il bluff e l’azzardo nascosti in un sorriso.
Non si gioca a carte con la vita.
E mentre guardo il taglio netto
di monte e le pareti su cui
la frattura scavando lacrima
là dove si infrangono le parole
è tremore di detriti e il versante frana
sui ghiaioni della contraddizione.
Non rimane che la nicchia del distacco
a memoria della perdita.
Sul sentiero del Selves c’è una riva
un rigagnolo d’acqua e delle erbe
qui, si alzano leggeri i myosotis
tessere di cielo ritagliate dai giorni lieti
non si possono dimenticare
né il sole che illuminava i giorni
né il sorriso dentro quei tagli di viso
dentro la voce che si faceva bambina
quella parte di te
che ancora vive nella riva.
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