da Clandestino
Un amore/desiderio/carne che sa parlare un linguaggio di carità e di cura: “la carità delle sue mani/ infine adagiate nel nostro segreto vegliare”.
Lucianna Argentino canta un amore che conosce l’errore, le retromarce, la riflessione, il pensiero della terra: “la mia vita me l’hai data tu/ mi dice lui e l’attimo si sbriciola/ si fa polline per un tempo ondoso/ che torna lacero e sfinito/ ma vivo e sativo”, ma anche il sacrificio, l’impegno e la gioia vera e propria, in un libro che tiene quasi sempre il passo degli accadimenti. L’autrice costruisce sapientemente un progetto uniforme, in cui si nota un perfetto equilibrio tra io lirico e io empirico.
Spesso si incontrano riferimenti alle cose della natura, un albero, una siepe, come se un Eden in terra indicasse il percorso ai corpi. Parlare d’amore è fare una promessa, parlare di Dio.
In canto a te ha già nel titolo quel che sarà: “cantare” implica una riflessione, una enorme meditazione che compatta il tempo.
Gli anni trascorsi mentre avviene la riflessione, si compattano, appunto e il passare del tempo diventa una grande riverenza al tempo stesso.
La seconda parte del libro è un poemetto intitolato Il poema della luce o del teorema della ricorrenza. È il momento dell’incontro o meglio il momento in cui gli amanti si ritrovano dopo alcuni anni, come se in un certo senso il tempo si fosse cristallizzato e contemporaneamente avesse dato spazio alla maturazione. In questo senso anche la struttura del verso appare diversa rispetto alla prima parte del libro.
La luce è la destinazione ultima, uno sguardo.
Lucianna Argentino scrive un canzoniere d’amore che risente della tradizione di tutti i canzonieri d’amore; in primis, già a una parziale lettura, è chiaro il retaggio preclassico con riferimenti alle Scritture Sacre e in particolare al Cantico dei cantici: “io sono l’agnello/ e lui la lama cui offro il collo”; siamo lontani da un misticismo fine a sé stesso, quanto più all’accadimento del sacro, dirompente, vero.
Melania Panico
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