da Fare Voci
Non fa sconti la poesia di Giorgia Vecchies, non trova facile consolazione né scorciatoie emotive. È attenta e partecipata, cura il filo della lama con cui intarsia la materia di cui ogni sua poesia è fatta, il vivere.
“Indizi di un dove” è qui a dimostrarlo, con queste sue pagine che divise in due capitoli vanno incontro a ciò che si è, a quella spinta che siamo stati, a ciò che potremmo essere.
Il libro si apre con una partenza che assume le direzioni della fuga, dell’andare via, del non poter più stare dove si è creduto di rimanere. Basta una stazione o un’autostrada. Anche poi per ritrovarsi a casa, forse un’altra, dove misurare con il proprio stare la lontananza da ciò che è perduto e che non si dimentica.
Ogni passo è immerso in un tempo dove si è sicuri che “uno dei grandi impegni/ della notte è guardare/ le ore che passano”, una verità che assorbe anche la luce del giorno, capace di trasformarla in poche parole che sembrano tenere in piedi il proprio mondo.
Qui ci si accorge che rimane “tra noi una tenacia stanca”, che ha bisogno della sua fine, di un gesto liberatorio e ultimo, estremo e necessario; perché “non c’è una traduzione/ un altro valore alle tue labbra”.
Giorgia Vecchies mette così in scena solitudini che a stento si muovono, fanno i conti con se stesse sembrano giunte al punto in cui non possono più sostenere il costo della propria vita.
E si può rimanere solo dentro queste fotografie che la Vecchies scatta, di parola in parola e frasi dopo frasi.
Il suo scrivere è sempre al servizio del suo dire, delle immagini e dei gesti che sono il libro, delle atmosfere che sanno farsi respirare con intensa realtà.
Di tutto questo raccontare l’autrice poi pone lo sguardo verso l’esterno, verso uomini che riempiono il quotidiano e il cui stare al mondo è una incisione profonda nella carne.
“L’uomo in giacca e cravatta/ ha mani colme di nebbia/ e ritagli di vetro, sulla strada/ cammina schivo dall’altro./ L’uomo vestito di cartone/ ha mani piene di scarti/ e negli occhi una rosa”.
Con queste figure che si muovono, a fatica e dimenticate, in un luogo che hanno in comune e in cui ci sono silenzi con cui proteggersi e da cui non riuscire a scappare, ognuno può chiedersi se sia questo il tempo dell’abbandono, il mondo che presenta il conto.
“L’uomo in giacca e cravatta/ ha costruito una barca di cartone/ dove poter affondare,/ senza colpa, senza mani per remare”.
La sua è la tensione di sapere bene che ognuno dei protagonisti di “Indizi di un dove” è stato una promessa, la dura responsabilità di essere mantenuta con il fiorire e il fare frutto, in un ‘dove’ che ha a che fare con ogni difficoltà: “Forse siamo germogli/ su cortecce devastate dal tempo”.
Giovanni Fierro
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