La stagione accanto su L’Estroverso


 
 
Da L’Estroverso
 
 
Intorno al concetto del “noi” si avvita il discorso poetico di Rossella Caleca nel racconto dell’accanto – inteso e come prossimità spazio-temporale e come desiderio relazionale – smembrandosi secondo due direzioni diverse, quella autobiografica e quella civile, per poi assemblarsi in una sola, vibrante coralità.

Accade infatti che, dopo il racconto di una sorta di saga familiare, alla ricerca di una concreta ragione del proprio essere al mondo -a cominciare dal punto di partenza, che è l’infanzia edenica per sempre perduta- attraverso l’apertura all’incontro con gli altri da sé e dal proprio gruppo parentale, si giunga nel testo di chiusura alla consapevolezza di essere “corpi svelati/ l’uno all’altro nascenti” che costituisce il punto più alto di accoglienza e compassionevole epifania di innumerevoli altre storie private, ciascuna con i propri tagli sulla fronte, come racconta l’autrice nel suggestivo testo che apre la raccolta.

L’amalgamarsi, come si diceva prima, della propria vicenda esistenziale con quella degli altri, è evidenziato soprattutto dall’impossibilità per il lettore di cogliere un cambio di passo stilistico, a testimoniare come l’autrice lavori sempre la propria materia senza altro fine che lo stesso dire poetico, cancellando ogni antinomia fra ragione etica ed estetica.

Ne consegue che un dettaglio della natura così come la tragedia della morte per acqua di tanti emigranti siano raccontati con lo stesso occhio attento e commosso perché facenti parte di un ininterrotto alternarsi di apparizione-sparizione, necessitante per approdare alla salvazione, e di un’esplorazione della parola poetica all’interno di quella fessura di sospensione in cui il tempo lascia spazio ad una sorta di trasognamento o memoria nostalgica dell’intero.

Franca Alaimo

 
 
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