Il percorso di Pre-Dizioni sulle riviste e sulla trasversalità della ricerca culturale continua con “Laboratori Critici”, il prestigioso semestrale fondato dalla Samuele Editore nel 2021 per la direzione di Matteo Bianchi, che ha come focus poesia e percorsi letterari.
Matteo Bianchi, direttore responsabile, si è specializzato in Filologia moderna a Ca’ Foscari sul lascito lirico di Corrado Govoni, sulla cui poetica ha curato l’Annuario govoniano di critica e luoghi letterari (La Vita Felice, 2020). Collabora come giornalista con alcune testate del Gruppo Sae, con “Left”, “Il Sole 24 Ore” e Globalist.it. Ha pubblicato quattro raccolte in versi e preso parte alla redazione della Guida tascabile delle librerie italiane viventi (Edizioni Clichy, 2019). Suoi contributi critici sono apparsi su “Poesia”, “l’immaginazione”, “Semicerchio”, “Nuova Rivista Letteraria”, sul sito di “Nuovi Argomenti” e su “Nazione Indiana”. È membro del comitato scientifico della Fondazione “Giorgio Bassani”.
Il primo numero della rivista, dal tema “Le risorse del silenzio”, ha in redazione Angelo Andreotti, Alberto Bertoni, Matteo Bianchi, Chiara Evangelista, Mario Famularo, Alberto Fraccacreta, Riccardo Frolloni, Carlo Selan, Daniele Serafini, e tra i collaboratori Sandro Abruzzese, Lucianna Argentino, Maria Borio, Duccio Demetrio, Leonardo Guzzo, Valerio Magrelli, Niccolò Nisivoccia, Giancarlo Pontiggia, Stefano Raimondi, Steven Toussaint, Emanuele Trevi.
Un semestrale che subito ha fatto parlare di sé su “Nazione Indiana”, l’”Huffington Post”, “Il Resto del Carlino”, “Ansa”, “La Nuova Ferrara”. Presentato nei locali dell’ADI Design di Milano per BookCity e a Palazzo Gopcevich a Trieste per Una Scontrosa Grazia (in collaborazione con la cooperativa campana AltreVoci, ZufZone, Let’s e il Comune di Trieste), “Laboratori critici” nasce dall’esperienza di “Laboratori Poesia” (www.laboratoripoesia.it), il portale di promozione diretto da Alessandro Canzian e che da ieri, come preghiera laica contro la guerra, ha cambiato la propria Home Page con un appello alla pace.
Nel primo numero della rivista come copertina è stata scelta una fotografia di Andrea Lunghi dal titolo “Tavolo III” (Silver gelatine prints on Barytic Paper Bergger Prestige NB/VC, 40 cm x 30 cm). Classe 1974 ha studiato Architettura presso l’Università degli Studi di Firenze. Dal 2000 al 2019 ha esposto in personali a Vienna, Isola d’Elba, Capoliveri, Portoferraio, Firenze, Siena. E ha partecipato a collettive a Portoferraio, Isola d’Elba, Rio Marina, Montevarchi. Tra le sue pubblicazioni “Immagini dell’Equilibrio” (Edizioni S. Caterina, 2005, con introduzione di Gianluca Belli), “Letto Imperiale – Eremo 1814” (Persephone Edizioni, 2012, Collana Oggetti d’Arte).
Un’intervista ad Andrea Lunghi
“Tavolo III”, l’opera che apre il numero 0 della nuova rivista semestrale “Laboratori critici”, fa parte della serie “Tacet”. Perché è nata questa serie e qual è il suo significato?
La serie nasce nel 2013 e si conclude nel 2019. Sentivo l’urgenza di cambiare direzione pur rimanendo fedele al mio linguaggio. Ne sentivo l’esigenza, volevo realizzare immagini che traducessero il significato del silenzio. Il mio soggetto è stato l’Eremo di Santa Caterina d’Alessandria all’Isola d’Elba. Un luogo raro, il mio luogo dell’anima. Qui mi sono formato e ho avuto la fortuna di incontrare e confrontarmi con persone ricche di umanità e generosità, aperte all’ascolto. La mia urgenza nella serie Tacet voleva dunque raccogliere questa ricchezza ricevuta e rendere omaggio all’Eremo quale luogo di silenzio e rifugio creativo per gli artisti.
Ho visto il silenzio dentro le stanze del monastero diventare paesaggio, permeare gli oggetti più semplici, nobilitandoli e rendendoli partecipi del nostro esistere.
La domanda invece che mi ha accompagnato per molto tempo, prima della sessione di scatti, è stata come poter svelare il silenzio in linguaggio fotografico.
In campo fotografico ho pensato alla serie Seascapes di Hiroshi Sugimoto, ma poi mi sono rivolto alla pittura e qui ho trovato risposte nel lavoro di Kazimir Malevič nel suo Quadrato bianco su fondo bianco, nella serie di opere monocromatiche di Aleksandr Rodčenko e ancora nel monumentale lavoro di Ettore Spalletti.
Lavorando in analogico, e in bianco e nero, la mia riflessione ultima è stata quella di agire per sottrazione con l’obiettivo di rimuovere al massimo tutte le informazioni che potessero distrarre l’osservatore dalla contemplazione dell’immagine.
Dunque la mia sessione Tacet ha avuto due unici soggetti per poter ritrarre il silenzio: la luce e il bianco.
Da qui nasce Tavolo III che è parte di un trittico dedicato al luogo di lavoro dove Hervé Guibert ha concepito la maggior parte dei suoi scritti. Poi Porta I, Porta II e il polittico Gessi sono un omaggio agli artisti che ho incontrato e che hanno vissuto questo luogo: Nan Goldin, Bernard Faucon, Susanne Besch, Anna Muskardin, karl Oppermann, Gianluca Gori, Sarah Pickstone, Cesario Carena, Roberto Gabetti e Aimaro Isola ma su tutti Hans Georg Berger, il mio Maestro, colui che mi ha sempre sostenuto dandomi gli strumenti per poter camminare da solo.
In poesia si parla spesso di cosa sia la poesia, in fotografia? Cos’è la fotografia per te?
Per me la fotografia oggi è il risultato di un lungo processo introspettivo. In questo è cambiato molto il mio approccio all’immagine. Nei primi lavori uscivo armato di macchina fotografica alla ricerca di suggestioni, e tutto ciò che percepivo come nuovo appariva ai miei occhi come un qualche cosa da dover trasformare creando nuove forme, mondi paralleli. Oggi possono passare anche mesi, anni, senza scattare neanche una fotografia in analogico. Quando però il pensiero di un nuovo lavoro si è sedimentato, ad un tratto arriva l’urgenza e succede che anche in un’unica sessione di poche ore possa prendere corpo una nuova serie.
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