Laboratori critici su Nazione Indiana


 
da Nazione Indiana
 
 
Il fraintendimento del reale, tra pressapochismo e mancata autocritica: l’anteprima del numero 4 (anno III) del semestrale “Laboratori critici”, edito da Samuele e pubblicato in occasione dell’ultimo BookCity Milano. Un estratto trasversale della rivista che mette volutamente in relazione l’editoriale di Matteo Bianchi, Per una critica meno assertiva e una poesia più incisiva, con l’intervento firmato da Tommaso Di Dio sulla deriva narcisistica – consapevole quanto no – dei poeti contemporanei, La coda del pavone terminale.
 
 
Vanitas vanitatis, dall’editoriale di Matteo Bianchi
 
Un dialogo intergenerazionale è stato favorito da Poesie dell’Italia contemporanea 1971-2021 (Il Saggiatore, 2023) di Tommaso Di Dio, che da mesi arroventa i dibattiti tra i beati ammessi e i dannati esclusi, confermandosi un esperimento antologico, poiché non risponde a un’esigenza legittima di canonizzazione autoriale, bensì propone un racconto plausibile di paesaggi testuali, tentando di disinnescare il narcisismo soffocante che pervade l’ambito poetico, ma di più, l’intero sistema culturale italiano. Il curatore ha eliminato la soglia dell’autore quale primo ingresso nel panorama poetico contemporaneo, offrendo così una prospettiva disturbante proprio perché inconsueta. Di Dio, che ha iniziato il percorso non da una serie di nomi che aveva in testa, ma dalla scansione di testi che a suo avviso testimoniavano l’epoca e, più precisamente, la decade in cui erano apparsi: da una parte riconoscendo quelli capaci di descrivere la ricchezza polifonica di linguaggi, perciò gli sperimentali convivono coi lirici, dall’altra causando dolorose esclusioni – e assai polemizzate – che non rientravano nella struttura narrativa del paesaggio ponderato, per conservare la coesione delle sequenze decennali articolate secondo una progressione esemplificativa.
 
Tuttavia Poesie dell’Italia contemporanea non è stato l’unico casus belli dell’ultimo triennio: hanno scaldato gli animi pure L’ultima poesia (Mimesis, 2021) di Gilda Policastro e Mappa immaginaria della poesia italiana contemporanea (Il Saggiatore, 2021) di Laura Pugno, senza tralasciare il precursore La poesia italiana degli anni Duemila (Carocci, 2017), a cura di Paolo Giovannetti. E sono i titoli presi in esame da Alberto Fraccacreta per formulare la fatidica domanda che ha contrassegnato lo speciale dedicato al 24esimo festival di Pordenonelegge; domanda sottoposta a una pletora di docenti e critici, alcuni dei quali hanno risposto nelle pagine seguenti senza indugi, né esclusione di colpi: «oggi è veramente possibile definire dei criteri univoci e condivisibili per tracciare dei percorsi? O l’entropia è ormai tale che sta arrivando a soffocare l’identità autoriale?»
 
A definire la critica “embedded”, cioè una “non critica” addomesticata dalla cordata di colossi editoriali e mezzi di informazione, e finalizzata non alla qualità della prova poetica, dell’opera d’arte, ma a una risultante borghese, nell’accezione di compiacente e decorativa al pari del Keith Haring brandizzato sugli scaffali dei centri commerciali, è stato ancora Matteo Marchesini nella puntata di “Critica e militanti” dello scorso 13 ottobre, su “Radio Radicale”. Squadernare le controversie del caos più attuale, contro i compromessi stilistici che si sostituiscono ammiccanti ai punti di riferimento onestamente scomodi, e contro il conseguente personalismo mediatico dilagante, resta uno degli intenti della redazione di “Laboratori critici” sin dal numero Zero.
 
 
La coda del pavone, dall’intervento di Tommaso Di Dio
 
Il re è nudo: da almeno cinquant’anni, nessuno studioso serio può parlare di poesia, al singolare, se non in cattiva coscienza. Dopo il Duemila, dopo la radicale diffusione della libertà di presa di parola e dei dispositivi di cattura, di creazione e di riproduzione estetica (social network, YouTube, smartphone ecc.) le tradizioni sono moltiplicate esponenzialmente, multimedializzate e ibridate, in modo talmente vertiginoso e acritico che nessuno può più pretendere di avere la Poesia, né che la lotta per la propria “Poesia SVG” (Sola Vera Giusta) possa avere più valore di quella per un’altra. È questo «l’astro esploso» di cui parlava profeticamente Berardinelli, alla cui luce tutti oggi scriviamo. Ormai esistono così tante tradizioni, fra loro divergenti, che le poesie non si riconoscono più. Ma attenzione: non solo, in molti casi, non si riconosce più la poesia da ciò che poesia non vuole essere (si prenda il caso limite del rapporto fra poesia e prosa, in autori come Anedda e Neri, Broggi e Bortolotti), ma intendo la frase in un senso forse meno radicale, ma le cui conseguenze sono e saranno forse più dirompenti: ciò che un poeta fa il poeta accanto non lo sa.
 
 
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