Annalisa Ciampalini, poeta, è una mistica che tenta il ricongiungimento della parte con il Tutto, per scoprire che nella parte si disegna il Tutto come in un frattale, come in un ologramma:
“Continueremo a non vedere lo spazio / che s’incurva a non credere la conchiglia / possa raccogliere il mare.”
Amante della matematica, l’autrice ne comprende l’essenza secondo il pitagorismo, dove i numeri sono qualità, “quiddità”, attributi del Divino. Tenta l’unione della creatura con l’Assoluto trascendente e immanente nel contempo. Tenta la ricomposizione di ogni frammento (e di sé oltre sé) attraverso la poesia.
In questa sua ultima opera, Le distrazioni del viaggio (Samuele editore, 2018, p. 64) con una bella prefazione di Monica Guerra, attua l’uguaglianza misteriosa e seducente tra poesia e misticismo. È un’uguaglianza che è dolce conquista del vivere e contemplare, come è conquista la parola creatrice sgorgata dal cammino compiuto, dal viaggio – viaggio metafora della conoscenza extrasensibile, pur partendo dal sensibile, per superarlo.
L’immagine da accostare al testo, consona a queste liriche pensate “oltre il pensiero” con appercezione che è pensiero di pensiero, coscienza di pensare (la visione metafisica è di Leibniz grande matematico), è la scala di Giacobbe, in cui il patriarca vede angeli melodiosi salire e scendere. Anche le parole qui salgono e scendono, partono dal mondo e vi ritornano con crescente consapevolezza. Le distrazioni sono, in realtà, un’attenzione fortissima meditata e non sono tali. Possiamo intendere il termine “distrazione” come superamento dell’io egoico e separato, un distrarsi dalla credenza di essere altro dall’altro. Testimonia il processo conoscitivo mistico attraverso l’identificazione, l’esergo di Tomas Tranströmer che Annalisa Ciampalini sceglie come suo biglietto da visita:
“Accade, ma solo raramente, / che uno di noi veda veramente l’altro: / per un istante appare un uomo / come in fotografia, ma più chiaro / e sullo sfondo / qualcosa di più grande della sua ombra.” Poesia dal silenzio
Uscire da sé per vedersi in un altro, con empatia:
“Amo le ragazze che studiano nell’oscurità / e smaniano per una soluzione, / per il numero giusto che riempie la pagina. / Amo le loro case che le guardano / e le coperte di lana variopinta.”
Uscire da sé nel paesaggio:
“Hai imparato la pace degli alberi /e l’intesa muta col cielo. / Sai che la primavera e l’inverno / hanno forme diverse / e che ogni uomo ha un organo / devoto alle stagioni. ”
Inteso come estrinsecazione sensibile della vita “verticale”. La differenza tra contingenza “orizzontale”, i fatti, ed eternità “verticale”, la loro scaturigine, è espressa in modo plastico, scultoreo, nei versi dedicati a Roma, la città eterna ma come addormentata e inconsapevole.
Graziella Atzori