L’imperfezione del diluvio / An Unrehearsed Flood
Sandro Pecchiari
Prefazione di Andrea Sirotti
pag. 58
Isbn. 978-88-96526-58-3
ESAURITO
If one seeks hope in these poems, one can find it in the straining towards mutability, for a not-better- defined passage of state, of condition: «if time occurs / do not xerox it»; «it’s twining / to twist to bind». As in the wonderful poem IX, in which the allusion to trench warfare – war echoes also show up in other places in this collection, in words like «crouches», «siege», «alarm», and so on – stands as a metaphor for the struggle against overwhelming odds to achieve a redeeming change of state (into healing? Into death?): «you are a sleeping fighter in a trench / the war inside / my sentry-duty / ignores mess and sleep and time // we are waiting to change / this night / you are more nimble than I». The two versions, the Italian and the English, seem to be constructed according to a different poetic equilibrium, products of factors whose result does not change. The author tends to reproduce the same web of sound , but using procedures, specific to the two languages, and with a different distribution within his poetic system. The reader may be struck, for example, by the extraordinary concision of some endings in the English version: «ah, your clear eyes», «game over», «we fell / for want», and above all the splendid «pound my heart», heartrending invocation that recalls Donne’s Holy Sonnets (Batter my heart…). While the Italian version seems to be thoughtful, universalizing, oracular: «che occhi limpidi che hai», «un gioco perso», «si cade / per mancanza», «colpisci forte il cuore». In the very title of the collection, the flood moves from imperfect to «unrehearsed», «not experienced», «acted on without a proper preparation». And by juxtaposing the two elements one gets the idea that the all-too-natural disaster holds within itself the connotations of a fault, of a fleeting senselessness for which the man-actor will never be able to arm himself. Pecchiari, refined scholar and connoisseur of English poetry, seems to be well aware of the potential of the two languages in poetry and almost always avoids a word for word self-translation. Rather, he chooses a kind of faithful rewriting, in which (by placing the two versions “face to face”) nothing gets lost and from which significant modulations in meaning and in expressive strength come to life.
[Andrea Sirotti]
Se in queste liriche vi è una speranza, è nella tensione verso la mutabilità, verso un non meglio definito passaggio di stato, di condizione: «se il tempo accade, non mantenerlo eguale»; «l’essenziale è arrampicarsi / per sforzare i legami». Come nella splendida poesia IX, in cui l’allusione alla guerra di trincea – echi bellici compaiono anche altrove nella silloge, in termini come «s’accampa», «assedio», «allerta», ecc. – si erge a metafora dell’impari battaglia per un salvifico mutare di stato (nella guarigione? Nella morte?): «dormi come un soldato in trincea / la guerra dentro / il mio turno di guardia / ignora rancio e sonno e tempo // attendiamo di mutare / questa notte / tu sei più agile di me). Le due versioni italiana e inglese sembrano costruite su equilibri poetici diversi, prodotti di fattori in cui il risultato non cambia. L’autore tende a riprodurre lo stesso ordito fonico, ma con modalità diverse, caratteristiche delle due lingue, e con una diversa distribuzione all’interno del sistema poesia. Colpiscono, ad esempio, la straordinaria ellitticità di certe chiuse delle poesie inglesi: «ah, your clear eyes», «game over», «we fell / for want», e soprattutto lo splendido «pound my heart», straziante invocazione che ricorda quella del Donne dei sonetti sacri (Batter my heart…). Dove invece l’italiano appare di volta in volta riflessivo, universalizzante, oracolare: «che occhi limpidi che hai», «un gioco perso», «si cade / per mancanza», «colpisci forte il cuore». Nello stesso, efficacissimo, titolo della silloge, il diluvio in questione da imperfetto diventa «unrehearsed», «non provato», «attuato senza preparazione», e dalla giustapposizione dei due elementi si trae l’idea che il disastro, fin troppo naturale, porta in sé le connotazioni di una pecca, di una sfuggente insensatezza verso cui l’uomo-attore non è in grado di attrezzarsi. Pecchiari, raffinato studioso e conoscitore di poesia inglese, appare ben consapevole delle potenzialità delle due lingue in poesia e sfugge quasi sempre, nell’autotradursi, alla resa letterale, per privilegiare una sorta di fedele riscrittura nella quale nulla va perso e da cui scaturiscono (dalla giustapposizione “a fronte” delle due versioni) significative varianti di senso e modulazioni di forza espressiva.
[Andrea Sirotti]
Un libro particolarissimo, questo di Sandro Pecchiari, pulito ferocemente dall’Autore fino a un’essenzialità assoluta, assolutizzante, necessaria. Libro che continua il discorso iniziato al Premio Carducci in Carnia ne Il Comune Rustico attorno alla traduzione e alle sue problematiche. Traduzione come confronto con se stessi, traduzione come spoliazione e riscrittura di se stessi. Terzo libro di un viaggio metaforico nel verso ma esistenziale nella vita vissuta dall’autore che da Verdi anni e il suo percorso temporale era approdato a Le svelte radici dove essere nel mondo, pare dirci questo Sandro Pecchiari. Tutto entra in questa sorta di Canzoniere abitato e toccato dagli uomini, soprattutto attraversato, reso noto dall’importanza che hanno per il poeta i luoghi riportati alla fine dei versi, le città in cui quei versi sono stati ispirati. Pecchiari sceglie il “contatto” della visione, di immagini piane – ma anche labirintiche – che non dimenticano mai di attraversare le cose stesse (Mary Barbara Tolusso). Percorso che ne L’imperfezione del diluvio / An Unrehearsed Flood entra dentro al linguaggio con lo stesso spaesamento e la medesima ricerca di punti di riferimento dei precedenti libri, percorrendo attraverso la parola un’intera cultura (come nel precedente percorreva geograficamente) consegnando al lettore un libro di altissima poesia, rara nel panorama contemporaneo, con una domanda fondamentale non solo sulla traduzione ma sulla Poesia stessa.
[nota dell’Editore]
L’IMPERFEZIONE DEL DILUVIO / AN UNREHEARSED FLOOD
I
Trieste soars upstream
its gusts of air
spare with words
spears steeples
inside the horizon
exiled en route
from childhood
up there along past paths
we desert life
provided we recall
history would be written later
I
Trieste rincorre
scostante di parole
l’aria inerpicata
fiocinando campanili
dentro l’orizzonte
esuli nella rotta
dall’infanzia
lassù nelle vie di ieri
dismettiamo la vita
purché la ricordiamo
la storia l’avremmo scritta dopo
VI
the drip feeds infiltrated fire
seeing you was checking each defeat
austere and helpless in the siege
no white flags from bed sheets
no forgiveness I declare
to low-carat enemies
who humiliate and blackmail
in my bold fierce hate of syringes
that choke my eyes
I will make it you said
drowning your tears
and death
was echoing you
VI
la flebo infiltrava il fuoco
vederti vagliava ogni disfatta
austeri e soli nell’assedio
niente bandiere bianche dai lenzuoli
non proclamo perdono
a nemici che umiliano
con ricatti a bassissimi carati
alto e fiero nel mio odio di siringhe
a strozzo negli occhi
ce la farò dicevi
se annegavi il pianto
e la morte
ti faceva eco
VIII
to be bereft of the narrow straits
between what’s left to live
and you
freezes me in its reduction
we are the outcome of impossibility
I will not forget the cuckoos
hatched for our displacement
we fall
for want
VIII
l’essere privato di un passaggio
tra il vivere che resta
e te
mi fa immobile nella diminuzione
siamo conseguenze di una impossibilità
non perdóno i cuculi
dischiusi per la distruzione
si cade
per mancanza