Parodia in versi di illustri e meno illustri testi della nostra tradizione lirica, da Cecco a Gozzano, alla luce del Coronavirus, è L’ospite perfetta di Alessandro Agostinelli, e lo si coglie sin dai titoli, ritagliati su misura: Cecco-ronavirus, Cavalc-oronavirus, Petrarc-oronavirus, e così via. Otto autori che prestano le loro parole, rimodulate con ironia a tratti carnevalesca (lo segnala subito Alberto Casadei, nella prefazione al volumetto), mai irriverente però, alla rappresentazione di quella domiciliazione coatta, detta anche lockdown, tecnicamente “confino”, i cui effetti collaterali non si esauriranno nell’arco di pochi mesi. È probabile che, per Agostinelli, il testo più facile da sciogliere sia stato anche il più comico: penso a S’io fossi foco dell’Angiolieri, che tante volte si è prestato (specie nel mondo della canzone, da De André nel 1968 e Gaber nel 1980, fino all’ultima rilettura in chiave rock di Piero Pelù, del 2020), grazie anche al peculiare refrain del suo elenco paradossale – tutt’altro che corretto! – di plazer, a una rimeditazione che schernisce paure e tabù (S’i fosse il virus invaderei lo mondo…) Meno scontata, invece, è la parodia con cui «Voi che per li occhi mi passaste ’l core / e destaste la mente che dormia…» di Guido Cavalcanti, diventa «Voi che lo virus mi passaste in zona / e svegliaste in me la malattia…»; e non di meno empatica la riscrittura del famoso Solo e pensoso i più deserti campi petrarchesco nel – più vero che metaforico! – Solo e malato le più deserte vie. Così, di questo passo, assistiamo alla riscrittura di sonetti di Ariosto, Alfieri e Foscolo (superba decisione quella di trasformare le “sponde” di Zacinto in quelle di un letto d’ospedale!), e a una poesia che Leopardi mai avrebbe immaginato potesse prestarsi, oltre a titoli per film e festival di poesia, a un attacco antilirico come «Vaghe mascherine io vo’ cercando / che tornar a buon uso esse sanno / come quel che ’ndossava babbo mio / non sul giardino ma ’n acciaieria…», che ritesse i vari motivi del celebre esordio: «Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea / tornare ancor per uso a contemplarvi / sul paterno giardino scintillanti, / e ragionar con voi dalle finestre…».
Salvatore Ritrovato