L’urlo della mente e altre poesie inedite su Pelagos Letteratura


 
Da Pelagos Letteratura
 
L’urlo della mente, pubblicato per la prima volta nel ‘77 dalla casa editrice Vallecchi e inserito nel 2009 nella raccolta antologica dei primi cinque libri di Umberto Piersanti, intitolata Tra alberi e Vicende (Archinto editore) a cura di Alessandro Moscé, è ora uscito nuovamente, corredato da inediti, nella collana Nuova Scilla, Samuele editore. È una raccolta poetica che si distingue nettamente dalle altre sia per il contenuto altamente drammatico, sia per il linguaggio diretto e crudo. È all’unisono un grido di dolore provocato da una grave forma di nevrosi, chiamata comunemente malattia del dubbio, quanto una severa denuncia nei confronti di un’educazione religiosa cattolica repressiva, che, nell’età infantile, un tempo, incuteva profondi e inalienabili timori: “il rispetto cominci dai fanciulli/ per troppo tempo/ li avete terrorizzati/ carceri e manicomi/ avete preparato.”

Nel libro intervista Il canto Magnanimo, autori Roberto Galaverni e Massimo Raffaeli, Piersanti afferma: “è il mio libro più sincero, il più immediato e il più diretto, ma anche decisamente il più brutto. L’oscurità che copre la mente intralcia anche il dettato”. Giudizio certamente troppo severo per una raccolta di versi di natura quasi diaristica, che nasce senza filtri dal dramma di un tracollo psichico, che induce una sofferenza tale da non essere paragonabile a nessun’altra: “Non è vero/ perdio, che tutti/ conoscano il dolore/ e a ciascuno la sua croce/ certo è la frase più filistea// io dico che/ le sofferenze d’amore/ sono letteratura/ e basterebbe un’ora/ di questo male/ signori, per vanificare/ tutte le vostre fregnazze esistenziali”. In queste parole si legge la rabbia e forse ancor di più la ribellione contro una malattia capace di annientare un uomo, di sbatterlo nei corridoi degli ospedali, di annientare la sua “estrema volontà”. È una vera colluttazione che il poeta compie contro il male, ossia l’Assurdo che lo vuole dominare: una paura irrazionale che lo lacera e lo paralizza. L’origine di questa ossessione è nella parola che se pur fu: “memoria/ arte/ storia/ segno unico / dell’Uomo nell’Universo”, può diventare “segno della paura/ retaggio degli sgomenti/ d’odi tenaci/ e delle solitudini più chiuse”.

A causare questa nevrosi ossessiva fu l’incontro con quanto disse un religioso, in un giorno luminoso, in cui nulla faceva presagire quello che sarebbe accaduto: “Colui che era presso la Croce/ generò questo male/ poi vennero parole stampate/ del mio tempo/ medioevo prossimo venturo e fu l’assurdo”.  Le parole di quest’uomo di chiesa, successivamente misconosciuto dalla stessa, hanno avuto la forza di scatenare in Piersanti il male del dubbio, la disperazione kikegaardiana, che rende le notti atroci. E neppure la successiva rassicurazione compiuta da questo religioso ha potuto bloccare il meccanismo che si era istaurato nella mente del poeta.

L’autore non si sentiva più un uomo, come afferma nell’ intervista con Alberto Fraccacreta, posta alla fine di questa edizione del libro, perché i meccanismi del suo cervello erano completamente sottratti alla sua volontà: “L’insonnia, il sudore, il tremore, l’angoscia non rispondevano minimamente ai miei tentativi di placarli e di sistemarli in un ordine più rassicurante, la paura era totale ed assoluta: c’era il rifiuto della fine della vita per me e per tutti gli uomini”.

Raffaella Bettiol

 
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