Una poesia credibile
Cosa chiedere, oggi, alla poesia? Non certo, ancora, negazione. Sappiamo abbastanza bene, forse troppo bene, quello che non siamo e che non vogliamo, o crediamo di saperlo, che è lo stesso, dato che sul credere sta tutta la questione. La questione sta (si sposta, è vero, ma poi ritorna sempre di nuovo) proprio su questo punto di debolezza estrema e di forza inconsapevole, su qualcosa in cui poter credere, nella vita, nelle cose, nei pensieri che ci fanno agire. La poesia potrebbe parlarci di questo. Dovrebbe farlo.
Prima di tutto, però, prima di parlarci di qualcosa in cui credere, la poesia deve fare lo sforzo, oggi, di essere credibile. Troppo narcisismo, troppo compiacimento, troppa fretta. Ovunque c’è un dilagare di investimenti tossici nella letteratura, che determina una grave crisi del credito, ma è soprattutto la poesia a toccare i minimi storici.
Non dico che la poesia abbia da fare discorsi speciali, estranei al mondo in cui si vive, alla lingua della televisione e del lavoro. Anzi, è la sua pretesa diversità, quando si ritiene garantita dal nome di poesia, dai suoi abusatissimi usi, dai suoi secolari atteggiamenti diventati oramai ridicoli, che la rende scarsamente credibile. Perché la diversità vera, quella che le è propria, fa sì che diventino poesia proprio quelle stesse parole della vita, della televisone e del lavoro. Ma questa “indicibile” diversità, che fa delle parole comuni poesia, va guadagnata, riconosciuta dento di sé e nutrita.
Gian Mario Villalta
ESAURITO
Sequenze distrutte
Celenterati, echinodermi
necrocarcini, madrepore, rudiste
colonie di coralli
tramutati in calcite cristallina
e gasteropodi e lamellibranchi
inerti testimoni
antichissimi e bianchi
ora e per sempre liberati
dal seno delle masse millenarie
per sempre liberati e frantumati
da abnormi creature cigolanti che
alitando ruggente ossido di carbonio
con indefesso zelo frammischiarono,
ogni sequenza antica distruggendo.