Minatori – edizione riveduta e aggiornata
Dario De Nardin
Prefazione alla Prima Edizione di Gian Mario Villalta
Prefazione alla Seconda Edizione di Alessandro Canzian
pag. 98
Isbn. 978-88-96526-66-8
ESAURITO
Cosa chiedere, oggi, alla poesia? Non certo, ancora, negazione. Sappiamo abbastanza bene, forse troppo bene, quello che non siamo e che non vogliamo, o crediamo di saperlo, che è lo stesso, dato che sul credere sta tutta la questione. La questione sta (si sposta, è vero, ma poi ritorna sempre di nuovo) proprio su questo punto di debolezza estrema e di forza inconsapevole, su qualcosa in cui poter credere, nella vita, nelle cose, nei pensieri che ci fanno agire. La poesia potrebbe parlarci di questo. Dovrebbe farlo. Prima di tutto, però, prima di parlarci di qualcosa in cui credere, la poesia deve fare lo sforzo, oggi, di essere credibile. Troppo narcisismo, troppo compiacimento, troppa fretta. Ovunque c’è un dilagare di investimenti tossici nella letteratura, che determina una grave crisi del credito, ma è soprattutto la poesia a toccare i minimi storici. Non dico che la poesia abbia da fare discorsi speciali, estranei al mondo in cui si vive, alla lingua della televisione e del lavoro. Anzi, è la sua pretesa diversità, quando si ritiene garantita dal nome di poesia, dai suoi abusatissimi usi, dai suoi secolari atteggiamenti diventati oramai ridicoli, che la rende scarsamente credibile. Perché la diversità vera, quella che le è propria, fa sì che diventino poesia proprio quelle stesse parole della vita, della televisione e del lavoro. Ma questa “indicibile” diversità, che fa delle parole comuni poesia, va guadagnata, riconosciuta dentro di sé e nutrita. Questi versi di Dario De Nardin sono poesia perché offrono questa credibilità. A questa poesia che appare sospesa tra la vecchia cadenza di una cantilena e lo strozzarsi della voce in gola, si sente di poter dare credito. L’esperienza, il vissuto, non sono mai subordinati a un’idea preordinata di forma e di lingua poetica. Diventano poesia, invece, queste parole, attraversando un’esperienza che dà valore alla materia dura della vita – e vorrebbero riscattarla.
[dalla prefazione alla Prima Edizione di Gian Mario Villalta]
Ci sono dei libri, nella vita di un Editore, che segnano profondamente non solo la direzione letteraria che l’Editore decide di intraprendere ma anche il suo stesso modo di concepire la letteratura. Minatori di Dario De Nardin, prima pubblicazione della Collana Scilla della Samuele Editore, ha rappresentato a pieno titolo questa chiave di volta che a tutt’oggi considero fondamentale per comprendere le scelte editoriali fatte in nove anni di attività. Dalla pubblicazione di uno dei massimi poeti omoerotici italiani (Arnold de Vos) al pluripremiato esordiente siciliano (Erminio Alberti) al percorso interculturale diventato un’importante riflessione sull’autotraduzione (Sandro Pecchiari) ai poeti stranieri eccellenti quali il più importante autore vietnamita vivente (Nguyen Chi Trung) e una poetessa nicaraguense candidata al Nobel (Claribel Alegría). Dario De Nardin ha segnato indelebilmente, nel 2009, questa storia di volumi pubblicati dando delle coordinate che oggi, nel 2015, appaiono ancora prioritarie. Un’attenzione alla lingua, come giustamente diceva il primo prefatore eccellente della Collana (Gian Mario Villalta, primo di una serie che ha visto coinvolti tra gli altri Giorgio Bàrberi Squarotti, Paolo Ruffilli, Maria Grazia Calandrone, Davide Rondoni, Manlio Sgalambro, Maurizio Cucchi, Elio Pecora, Maria Luisa Spaziani, Emilio Isgrò, Mary Barbara Tolusso, Lello Voce, Roberto Vecchioni) tesa a un dare credito alla poesia. Un costruire piuttosto che un togliere partendo da una vita vissuta nel senso di dato imprescindibile.
[dalla prefazione alla Seconda Edizione di Alessandro Canzian]
Sulla diga
Sulla diga sbrecciata
tubinnocenti e tavole
risonavano ai passi
gagliardi dei ragazzi
che sulla passerella
camminavano all’ora
d’attraversar la gola
per risalire in costa
l’altra sponda, deserta
e scoticata dall’onda.
Rabbia
Un dio incazzato
si riversa su noi
con goccioloni di rabbia
che non so se siano sputi
lanciati con disprezzo
o lacrime di dolore
per i nostri peccati
o solo e semplicemente
degl’innumerevoli suoi cani celesti
lunghe pisciate
contro il vagante cippo della terra.
Sere d’estate
Qualche volta d’estate, verso sera,
s’adunavan gli amici delle cave
sul versante alla casera di Bepi
per accendere un fuoco
e mettere qualcosa sulle braci
a frigolare adagio, senza fretta.
Intanto si brindava con buon vino
sorseggiandolo piano
nel profumo di grasso e rosmarino.
Scacco matto
Avrei voluto darti scacco matto
farti capitolare sopra i fiori
in un prato segreto lungo il fiume
e invece me ne stavo affascinato
a manovrare le figure nere
verso la schiera tua, ben appostata
nel rigettare ogni mio tentativo
d’entrare nella rocca inespugnata.
Clicchete-cloc
Clic e cloc e clicchete-cloc.
Dune erbose assolate
sul vasto falsopiano
nel sogno percorriamo.
Nudo è il cavallo
che solo la sua pelle indossa
pelle calda e lucente
morbida ed irrorata
di sudore odorante.
Clic e cloc e clicchete-cloc.
Col muso alto
ad annusare il vento
se ne va lento all’ambio
fra gli alberelli bassi
dalle fronde cadenti.
Clic e cloc e clicchete-cloc.
Nuvolette che assumono
strane forme ammiccanti
sembrano dondolare
mentre oscillanti vanno
sopra il cavallo nudo
i nostri nudi glutei
le gambe penzolanti
i cuori palpitanti.
ESAURITO