Nerotonia su Laboratori Poesia

 

Da Laboratori Poesia

 

Vivere è probabilmente una delle cose più complesse che ci è dato subire in questa vita (mi si permetta il gioco di parole). Un vivere composto di collettività, di relazioni più o meno profonde, di conflitti e fallimenti.

Se mai c’è stato un Ingegnere (per fare il verso al Prometheus di Ridley Scott), un Dio o un Demiurgo, questo non si deve essere accorto di una contraddizione insita nell’essere umano. Abbiamo una mente che ci proietta verso un orizzonte senza fine, o un eterno permanere nel medesimo, che rifiuta la morte, eppure abbiamo necessità di un termine alla vita. Abbiamo un cuore che necessità di una stabilità emotiva certa, duratura quanto un sempre, eppure è insito nel respiro dell’essere umano il fallimento, il tradimento, la fine.

Tale contraddizione è sempre stata chiara nella Storia, tanto che la religione non di rado spiega che prima vivevamo in un accordo celestiale che poi, per volontà umana, si è spezzato, fratturato nella vita che conosciamo. Ma anche in questo caso ci troviamo di fronte a una contraddizione in termini: perché creare un essere potenzialmente eterno e perfetto per poi dargli un’ampia possibilità di perdere tutto?

Molti chiamano questo libertàlibero arbitrio, elementi che a dirli suonano bene ma nella sostanza affermano solo che siamo esseri che desiderano qualcosa che non possono avere (Questo è l’amaro della vita: / che solo in due si può essere felici; / e che i nostri cuori sono attratti da stelle / che non ci vogliono, E.Lee Masters). Vogliamo l’amore e incontriamo il fallimento. Vogliamo la purezza e incontriamo lo squallore. Vogliamo la vita e incontriamo la morte.

Vivere, come dicevo, è una delle cose più complesse quando ci si rende conto della precarietà della nostra posizione nel mondo, nei confronti degli altri e di noi stessi. Una precarietà insostenibile per quanti l’affrontano a pieno petto. Ma pure questo rappresenta un problema: affrontare la vita significa non viverla, significa dover accettare una realtà molto meno vivibile di quella altrimenti data dalla pillola blu (per fare il verso, ora, al Matrix dei fratelli Wachowski).

In questo caso i poeti hanno una possibilità in più, un’ancora o uno scoglio a cui appoggiarsi: la letteratura. Scrivere infatti è, quando reso atto serio e consapevole, un modo per tramandare alla Storia quanto si è intuito della vita e dei suoi paradossi. Una narrazione vera e propria dell’esistenza che continua a parlare, ininterrottamente. E che non necessariamente deve piacere.

 

In questa direzione Rossella Pretto, in Nerotonia (Samuele Editore 2020, collana Scilla, prefazione di Flaminia Cruciani) si appoggia a piene mani a uno scoglio letterario che non salva, che ferisce, ma fornisce uno strumento in più per poter affrontare la contraddizione del fallimento.

Perché quest’opera è un’opera del fallimento che riesce a narrarsi, e in questo il suo compimento, che tenta una spiegazione a partire da un accaduto uscendo dall’accaduto stesso, sfiorando la contraddizione a monte della vita. Nerotonia è un’opera insostenibile perché fagocita l’insostenibilità della vita e delle relazioni e attraverso un filtro, un’identificazione letteraria autorevole, ne svolge le maglie. Senza soluzione, senza desiderio di soluzione, che già poter osservare la frattura è un successo concesso a pochi.

Un successo faticoso, un fallimento esso stesso nel suo essere successo. Una vita che assume altre vite, si identifica con altri personaggi, ne ripercorre le strade facendole proprie. È essere in tempi diversi una medesima vita, una medesima storia (stavolta con la s minuscola) ma con il valore aggiunto della letteratura che, in qualche modo, ha già narrato.

 

Alessandro Canzian

 

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