Parole a matita
testi di Massimo Klun
disegni di Maurizio Stagni
Samuele Editore 2020, fuori collana
Nota introduttiva di Claudio Grisancich
prefazione di Francesco De Filippo
pag. 170
Isbn. 978-88-94944-28-0
20 €
Dalla nota introduttiva di Claudio Grisancich:
Ho spesso pensato che la poesia presupponga una situazione tipo: due persone che per un certo tratto fanno una parte di viaggio insieme (mettiamo nella forma canonica, in treno). Due sconosciuti di cui uno (il poeta) inizia improvvisamente a raccontare qualcosa della propria vita: qualcosa di curioso, o doloroso, o incomprensibile, o tenero, o stravagante. Lo fa perché ha intuito nel perfetto sconosciuto (il lettore), la qualità di essere accolto nell’ascolto più devoto, quello che può prestare l’amico più caro. La poesia come momento perfettamente compiuto in se stesso, di vicinanza assoluta, di intensa condivisione o di illuminante identificazione, qualcosa di simile all’eternità, pericolosamente sfiorata. In “Parole a matita” le poesie di Massimo Klun incontrano il disegno di Maurizio Stagni, che si caratterizza per lo stile, un disinvolto metabolizzato di ottima fumettistica italiana (Pratt, Dylan Dog, Magnus, Zerocalcare…), per l’uso del bianco e nero della matita e, ancora di più, del carboncino che rimanda alle atmosfere tormentose dei noir della Warner Bros, al volto di Humphrey Bogart sciupato come il Borsalino che gli ombreggia lo sguardo nel Falcone maltese e alle scritture dense e essenziali di Hammett, Chandler, Ellroy e a quelle ancora più stupefacenti di Fante.
Dalla prefazione di Francesco De Filippo:
Una bella coppia per un libro riuscito: un poeta che confessa di non saper scrivere poesie – ma le pubblica – e un orafo che compone disegni a corredo di quelle stesse poesie sostenendo però che “le immagini non possono aiutare la poesia” (visto che questa “non ha bisogno di aiuto”). Qualcuno soccorra il prefatore, incaricato di indicare una linea di lettura in tanta consapevole contraddizione. Non si lamenti il lettore all’udire il raspare delle unghie nel tradizionale tentativo dell’arrampicata sugli specchi. Ci provo, con serietà. Non so cosa sia esattamente la poesia. Un ingegnere misura volumi e calibra le forze; un poliziotto valuta un pericolo, ha per riferimento una cornice giuridica e stima se un comportamento è all’interno di questa o se ne discosta. Ma un poeta esprime qualcosa che ha dentro con modalità e forme che non hanno regole, norme, parametri ordinamentali. E può farlo senza considerare un ambito temporale. Non è téchne, è materia delicatissima che può manifestarsi di qualunque colore, temperatura, composizione, il cui valore è dato dalla forza con la quale l’emozione di un altro essere umano le si aggancia, secondo itinerari, sensi e biologie che sembrano misteriosi. Massimo Klun è chiaro, è semplice in questo processo di autosprigionamento. Non ha il tormento del decadentista, non torce la sintassi alla Montale, né si smarrisce nell’onirismo alla Michaux. Tanto meno ha il respiro lunghissimo di Leopardi. Forse (saggiamente), nemmeno vuole questo carico interiore. Lui “imbratta”, traccia “confini improbabili”. Una confessione candida o si schernisce con finta umiltà? Difficile snidarlo: l’Autore è un uomo che all’apparente distacco dalle cose ha trovato un equilibrio nel trascorrere una vita “traballante”, e attraverso la poesia sembra tentare di colmare la distanza che ha interposto fra sé e il mondo: un ponte di corda, una passerella.
Bolero 02022020
(scopiazzando Ravel)
Le poesie che ho scritto
nell’ultimo anno
sono le migliori
che abbia mai scritto
Peccato che…
non siano poesie
Alzheimer
Come stai oggi?
Non ti trovo male
certo si vede qualche anno in più
ratatatatattatta
Sì lo so odi che si dica la tua età
Sei arrabbiata adesso?
Ti ricordi quando andavamo a fumare di nascosto da papà?
Ti ricordi i nostri pisolini pomeridiani?
ratatatatattatta
Ti confesserò che da giovane eri proprio bella
non te l’ho mai detto ma
un giorno ti ho spiato in doccia
eri come pensavo
ratatatatattatta
Dunque non sei arrabbiata?
adesso devo andare
a domani
così chiacchieriamo ancora un po’
ratatatatattatta
Giorgio
Giorgio geometra di campagna
comunista ortodosso
seduto sotto un santo di legno
una sigaretta via l’altra
il tomo di Pavone sulla resistenza aperto sulle gambe
e una tazza di caffè sudtirolese
mentre l’albergo si sveglia lentamente
immerso nel bosco
ancora umido di notte
Escort
A papà piaceva la Escort
a me non piaceva
preferivo l’Anglia
quella bicolore con le code
che mi ricordava una Cadillac
in miniatura
a portata di ceto medio
Quando di quel ceto entrai a far parte
presi a rate una Focus
che aveva preso il posto
della Escort
ormai morta dimenticata
Finché
quella Escort
risorse
crebbe
si moltiplicò al minuscolo
globalizzandosi
per sopravvivere al tempo
Metamorfosi fatta parola che
Google traduttore mi dice significare
(in quest’ordine)
scorta
accompagnatore
cavaliere
(genere maschile che nel mio immaginario superato
non penso prevalente)
Gemmazione antropomorfica
miracolosamente fattasi significato
universalmente riconosciuto
al di sopra di ogni ignoranza
Trend topic di intere stagioni politiche
che ha trasformato
una brutta macchina
con un bel nome
nel nome di una zoccola
Il segreto
Quella tettona di bianco vestita
(moglie di un toco grosso
seppi poi da adulto)
si stava avvicinando
a lui
capelli rossi permanentati
ballonzolavano all’unisono
alle sue ghiandole mammarie
(mi chinai per celare lo sconosciuto
repentino gonfiore inguinale)
lui già vecchio (dentro) non ancora vecchio
(il mauco accanto a lei sfoggiava
un sorriso smaltato
incorniciato da abbronzate crepe)
sorrise incurvandosi
al dondolio innanzi a se’
accogliendo stupito (stupito?)
le labbra di lei
tradimento fugace dell’amante color mocca
sigillo di un mistero svelato e
zittito da quel nuovo (nuovo?) segreto
improvvisato tra loro
che mi colse bambino (indurito e)
impreparato
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