Piano di evacuazione
Flaminia Cruciani
Samuele Editore 2017, collana Scilla
prefazione di Marco Sonzogni
pag. 72
Isbn. 978-88-96526-94-1
12 €
Dalla prefazione:
Del resto, e Cruciani ce lo ricorda con martellante onestà di pensiero e di parola, ognuno di noi trova posto nel banco degli imputati. L’uomo, dunque, «è accusato» in quanto «colpevole»: complice (quasi sempre) meschino di quella «irreversibilità» che si continua a spacciare per vita vera. Una condizione, questa, che non può non avere il peso di una giusta condanna perché soffoca la speranza mentre riscrive, con mano pesante e falsificante, il «bestiario completo» di quell’«affatturamento» dell’umano day-by-day (e qui si urli pure, senza ritegno, come mantra maledetta e maldicente, il dantesco «Papè Satan, papè satan aleppe!»: grido di sofferenza di un malato terminale che intravede nella fine l’unica vera e validabile vittoria). Ebbene, la situazione non è incoraggiante. Pochi combattono come Flaminia Cruciani e tanti, troppi eludono (con maggiore o minore destrezza retorica) la nostra condizione di animali intelligenti. La lettura di questo libro può segnare l’inizio di una cura (per chi è disposto a capirlo e ad accettarlo: solo la poesia può redimere e salvare perché solo la poesia è). Basta, anche ad intermittenza, lasciarsi andare al desiderio di preparare un piano di evacuazione – non certo in un futuro “al-di-là” ma hic et nunc – per arrivare a cogliere nella fuga l’inevitabile e insaziabile significato della vita («svanire è la ventura delle venture» ha detto Montale in quella che resta forse la sua poesia più luminosa e illuminate).
Marco Sonzogni
Partecipo al destino della materia
provo il mondo mi sta stretto
cammino fra pagine di fuoco a piedi nudi
l’attesa è desiderio incarnato
vertigine invisibile il passato
inopportuno il rumore del tempo
il funambolo alchemico origina dall’intimità
della luce, interpreta il dominio delle ali
saccheggia la fine in terra sconsacrata
è necessario il sangue, lo confesso
resto in carica, estranea, elevata al consenso
senza argomenti per allargare il vero
volo ancora nel mio atomo aereo
non è vero, forse, che possiamo intonare il mare?
Vieni, riposa nella mia tempesta
ti aspetto nel sonoro millimetro d’assenza condivisa
la chioma senza campo magnetico
computo della mia leggerezza millenaria
il midollo salato d’invisibile
libero il sangue in anemone alato
s’incurva d’assoluto la malinconia
cresco nelle diocesi dell’abbondanza
a radici svelate, ho ali spezzate d’infinito
non ho più tempio ma volto crescente a Dio
nel mio tuorlo maledetto, nell’essenza
spirituale della mia incompatibilità organica
battezzato alla mia lava sei libero dai contorni
quante verità sei in una? Abito dove urta
il tuo pensiero, nei miracoli in riserva
in datazioni di istanti impliciti
che cos’è rubare se non cedere al principio di località
al sovrapporre dell’avere
e ritrovarsi un mandato di causalità in mano
noi viaggiatori del nulla incoerente senza fermate
sostiamo in stazioni disabilitate, prendo la coincidenza
della funzione d’onda, del suo cifrario perfetto.
Facciamo quadrare i conti del visibile
detenuti nel positivismo a garanzie ostinate
infermi in feudi della certezza, nella tecnologia degli inganni
volare a piedi in topografie del cervello
dirottati dalla percezione della coscienza
pensieri verticali liberati in demoni
in quale difetto dell’universo mi attendi?
Il re è differenziale cieco
è risalire il secondo principio della termodinamica
fare l’acrobata su linee di infinito che cedono il passo
il limite è un pensiero messo alle strette
dalla paura che amministra il pericolo
ospite d’eccellenza della fuga
sbirciamo nella serratura dell’universo
nella sua ideologia arbitraria e insolente
come analfabeti autorizzati all’impresa
ho pensieri sfondati dai paradossi della normalità
come un angelo barbone in equilibrio sul presente
perché c’è più materia che antimateria?
Perché il verde è sacrificato al bosco
e le gocce alla pioggia
fondere con la fiamma il piacere alla sofferenza
qui c’è un verso che non c’è
ti caccio fuori dalle mie paure
chi ha poggiato l’universo sulla curvatura dello spaziotempo?
Chi ha ordinato l’alfabeto alle sue particelle elementari?
Un oste bendato, senza istruzioni per l’uso, con le unità semantiche in mano.