Un libro dall’umanissimo dolore, si potrebbe immediatamente definire, questo di Luigia Sorrentino, in presentazione a Una Scontrosa Grazia (Trieste, libreria Lovat) sabato 23 aprile e a Cotidie Legere (Brisighella, Chiesa dell’Osservanza) venerdì 24 giugno. Un libro che parla di morte, di morti senza nome, di un piazzale realmente esistente e di respiri che non sono più. Di voci impossibili. Perché la Storia sembra essere una frequenza discontinua di alti e bassi dove gli apici sono i massacri dei conflitti che purtroppo bene conosciamo, e i bassi sono un terribile brusio di fondo di anonimi senza diritto alla vita.
Piazzale senza nome è un libro che parla intensamente di scomparsi. Senza ardire di dare loro un nome si fa poesia in primis nel non dare loro un giudizio ma una voce.
Viale Diaz
È disteso sulla strada dopo l’incidente. il viso scolpito nella pietra è il suo sguardo. in tasca pochi effetti personali. La tessera della piscina, le mentine, qualche moneta. dalla terrazza della sua stanza un giorno le aveva raccontato dei lampi sul mare nei giorni di pioggia, dell’imbrunire che camminava sugli occhi sfocati dell’isola.
Ora la tua voce ha la struttura del suono.
La stanza è un’urna fiorita. Avvolge un ritorno senza confini. Adunata sul petto risuona fra le braccia la corrispondenza armonica del cuore in esilio. Le parole non ci sono. Sono nel silenzio di quella mattina d’agosto, alla fermata dell’autobus. nel voltarsi.
aveva oltrepassato
il confine
restituita la voce
all’universo
la sorgente di luce non era più
visibile
era tramontata fra gli alberi
la notte bianchissima discesa
fino in fondo, guerriera
nel suo sangue la neve
il freddo polare nelle pupille
allagate
perdute per sempre
La lotta
l’avevano picchiato con calci e pugni
colpi violenti inferti sulla schiena
erano entrati nel bozzolo
della dignità
erano venuti a cercare i suoi occhi
inceneriti
l’avevano tenuto fra le braccia
senza risposta
odorava di fiori senza più ritorno
perduta nell’oceano
la frequenza cardiaca
la voce dell’universo
di notte il cortile odorava di pianto
l’attraversarono occhi di cemento e intonaco
scale morenti senza voce
– amore mio perché –
l’hai segnata con atti di forza
hai spinto la pressione delle dita
fino a un gas pieno di lacrime
sulla ruvida sponda degli appestati
avevamo bisogno ancora di mistero
non del mondo atterrito
Voce che ritorna come un refrain dolorosissimo che principia l’horror vacui della scomparsa, stridente, di chi ha ancora tanta-troppa strada da percorrere. E per questo l’azzeccatissima epigrafe iniziale:
La morte dei vecchi è come un approdare al porto,
ma la morte dei giovani è una perdita, un naufragio.
Plutarco, Fragmenta 205 Sandbach
Il naufragio di Luigia Sorrentino è una luce spenta che implora il suo opposto, che lo prega senza appellarsi ad alcuna religiosità che non sia l’amore e il suo bisogno.
il dio dei morti autorizza l’amore
soltanto presso i morti
lo dissotterra,
amore disperato e sterile
dal naufragio lo difende, in seno
cara luce
tiene il lembo
lascia cadere
una speranza debolissima
si propaga all’umanità intera
deperita vittima espiatoria
adorazione terrorizzata
verità della violenza
La verità della violenza in Piazzale senza nome è a tutti gli effetti un incontro contraddittorio, aporetico eppure umanissimo:
Alessandro Canzian