da Fare Voci
La nuova collana di poesia “La siepe” di Marietti – bel titolo leopardiano – ripubblica “La sposa perfetta”, il libro del 1998 proposto da Giovanni Raboni per Marsilio, premio Frascati; Samuele Editore di Alessandro Canzian stampa “Poesie del tempo ordinario”: è l’occasione per conoscere un poeta raffinato come l’abruzzese Luigi Aliprandi.
Venticinque anni tra un libro e l’altro e la conferma di una cifra stilistica raffinatissima, dolcemente ironica, cólta, per un poeta che vive appartato, senza clamori mediatici.
“La sposa perfetta” è un canzoniere musicato sul “tu”, quartine da sonetto e schemi rimici ABBA CDCD, dove l’alto della tradizione lirica – Petrarca e Dante soprattutto – si coniuga con il basso della lingua “povera”.
Ma il cuore di tutto, in entrambi i libri, è il canto, l’invocazione d’amore, un amore scheggiato dal riflesso nello specchio, l’amour en fuite del cinema francese (Truffaut), la resa: “paura di te, dell’ombra che ti muove/ del tuo essere qui essendo altrove”; “Unicamente scrivo per me, per la mia paura/ da quando l’esperienza mi assicura/ come la tua bellezza sia la mia sventura”; “Scrivo per lei, anche se non mi sente/ per la sua vita e per chi se la prende/ biografo di nulla, in una grammatica del niente”.
Gli accenti e lo sguardo malinconico e innamorato ricordano i sonetti di Patrizia Valduga, il chiaroscuro della sua invocazione, la filigrana della ferita, l’assenza attraverso la luce di un amore mai spento.
O una poesia di cristallo, luce e trasparenze, che rinvia al Pedro Salinas della “Voz a ti debida”: “cerca di essere (è il/ compito più arduo, e te lo chiedo)/ esattamente quella che sei, così distante/ dal cielo e dalla terra, così compenetrata/ in ciò che anche noi vediamo”; “Può il tuo corpo privarsi dell’ombra?/ Può reggere una luce diversa da quella del cielo?”; tema ripreso in questi altri versi: “[…] ti adoro/ per ciò che sei e quella che eri/ per ciò che sarai se tu già non fossi”.
È vero che le poesie vanno lette e rilette, velo dopo velo fino alla nudità del senso; è vero anche che i versi sono un labirinto e la lettura, come scriveva Emily Dickinson, un viaggio: “Poesie del tempo ordinario” rispetto al primo libro è il canto di un amore reso presente – l’esserci, finalmente – ma sempre da decifrare: “Sei su di me, sei sotto, mi sei/dentro, luce confitta fino in fondo/ al centro, è questo che volevo e questo è/ lo sento, e il resto non è storia/ il resto è avvento”.
L’amore finalmente reale, nei suoi frammenti di presenza: “Non ha senso. D’accordo./ Quasi niente ne ha./ Essere, al mattino, il tuo/ sorso d’acqua, lo sbadiglio/ la prima sigaretta”.
È bello scoprire questi piccoli libri, scoprire che la poesia è così viva.
Roberto Lamantea
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