Qui sottovento su Laboratori Poesia


 
 
da Laboratori Poesia
 
 

Una sequela di illuminazioni, nonché una serie di modeste, incisive ma calibratissime pause rutilanti di un assaggio di verità – o per lo meno della vertigine intrinseca al tentativo d’accostarsi alla verità. Questo è quanto restituisce l’ultimo libro di Luigi Oldani, Qui sottovento (Qui sottovento, Samuele Editore, 2023), l’ideale prolungamento dei precedenti Haiku italiani (Samuele, 2016) e Come ventagli (Samuele, 2019). La poesia di Oldani si estrinseca con una forma affilata e tuttavia tendenzialmente armoniosa, esattamente come accade nei componimenti dei più pregevoli autori provenienti dal Sol Levante.

La poesia nipponica, il cui metro classico è pari a diciassette sillabe nell’haiku e trentuno nella tanka, affonda le sue radici nell’antica antologia Manyōshū; l’haiku così come l’intendiamo oggi cominciò a modellarsi nell’età Muromachi. Nel ‘900, arrivato in Italia a scoppio ritardato rispetto ad altri Paesi occidentali, trovò spazio sulle pagine de «La Diana», rivista napoletana diretta da Gherardo Marone, il quale vi pubblicò il primo Ungaretti e delle tanka di Yosano Akiko, femminista di prossima pubblicazione nella Nuova Collana Scilla con Io sono un papavero (Samuele, 2024), a cura di Luca Cenisi e Cristina Banella – prefatrice, quest’ultima, di Qui sottovento.

Un tratto distintivo dell’haiku è il kigo, un riferimento alle stagioni che Qui sottovento fiorisce per mezzo di una palette con diverse tonalità di giallo: «L’alloro di notte/ inebriante sboccia/ in vaniglia» (p. 40); «Risorge giallo/ il maggio ciondolo/ è primavera» (p. 43). Questo di Oldani è un caso più unico che raro in Italia, oltreché rappresentativo dei poeti zen che rispettano la tradizione orientale praticando il distacco mentale necessario all’espressione dell’ineffabile, che in giapponese è sintetizzato tramite polisemia, omofonia e kakekotoba in una coniunctio oppositorum.

Vernalda Di Tanna

 
 
Continua su Laboratori Poesia