È breve, smilza e colloquiale questa raccolta poetica, Senza filo di Roberto Rocchi (Samuele Editore,2020, pp. 54), con prefazione di Umberto Piersanti. Eppure dice davvero tanto: l’invisibile dietro ogni cosa, secondo l’esergo ripreso da Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupery:
“Noi guardiamo in genere solo la scorza delle cose e non teniamo conto che l’importante è l’invisibile”.
L’autore allude sempre all’occulto, confitto nei particolari del vivere, che l’ipersensibilità del poeta scorge con occhio interiore. Particolari come capelli neri, una sigaretta tra le dita, o “l’abisso dei tuoi occhi” in apparenza, solo in apparenza, scollegati, “senza filo”, ma il filo è la vertigine:
“Restiamo così / in bilico sul filo / di una vertigine di vita”.
Filo non logico ma catena energetica, vibrante (“Alcolista di vita / non mi sazio mai”), filo avventuroso perché non si sa dove condurrà. La poetica di Rocchi è il fluire, con un sottile sentimento di perdita inevitabile:
“Val bene il tempo passato / nell’abbraccio raccolto / delle mani / alibi del momento felice / panacea del rimorso / di ingombranti passati / di pesanti domande insolute.”
In questo pensiero discreto, appena accennato quasi per timore di approdare a conclusioni forse dolorose, non dogmatico, Dio è presente. È un Dio matematico, vicino alla specificità del lavoro svolto dal poeta; ciò è perfettamente consono, aderente al suo vissuto e risulta particolarmente interessante la congiunzione tra scienza e metafisica, detta quasi per gioco ma con l’assoluta serietà dei giochi seri:
“Il mio dio matematico / si mostra / in ordine geometrico / rituale che / vive da sempre / in un casuale presente / nato da un / algoritmo di vita / che non ha futuro / perché ancora non c’è”.
Si può obiettare che un algoritmo non è casuale ed è completo, contiene in sé la sua finalità, la totalità e i suoi esiti. Ma il poeta lo sa, o almeno lo sospetta, mettendo in scena il suo gatto Miele, delizioso come tutti i gatti, filosofo per natura, appollaiato e ieratico, icona della totalità. Dio “immobile” guardiano, posto al confine tra i mondi, questo nostro visibile e palpabile e l’aldilà, secondo gli Egizi:
“Miele disteso immobile / comodo sul bracciolo del divano / mi guarda di sottecchi”.
Per quanto sembri incredibile, l’anima animale è congiunta all’infinito, secondo i profondi studi di Montaigne. Lo sguardo del gatto è simile allo sguardo del Dio di Berkeley che tutto vede senza interruzione, e il suo vedere è creazione. Le mie riflessioni scaturiscono spontanee dai versi, che Rocchi forse approverebbe.
Un filo? Forse è l’amore, l’immancabile, infatti esso è, nel presente felice di una lirica, e in una poesia successiva al “ti amo” del titolo l’autore aggiunge “ancora”. Ancora è il filo, un avverbio.
Graziella Atzori