da Versante ripido di marzo 2016
Più e più volte al cospetto di questo libro di poesia di Sandro Pecchiari, il suo terzo lavoro edito per la casa editrice Samuele Editore, ho avuto l’impressione di trovarmi all’interno di una stanza.
Il contesto dichiarato dall’autore, citato in accenno nei versi, è la città di Trieste, e potrebbe essere giorno, potrebbe esserci il sole oppure la luce bianca, lattiginosa, delle mattine umide, mille buone ragioni per spalancare, ma l’aria, invece, (il mondo) viene tenuta fuori e si rimane chiusi, come in un interno che è lo spazio fisico di un vano nel quale siamo (stiamo), assieme all’autore.
Qui, in questo dentro che si fa anche luogo mentale, ambito e sentimento, si fa attenzione a non alzare la voce, si resta in ascolto, come nei giorni del lutto: si porta rispetto.
Ci si sente inadeguati dinnanzi a tanto dolore fondo e fondante, così esposto nell’interezza di questo lavoro, ma senza alcuno strepito. E’ il dolore della perdita la chiave significativa di “An unrehearsed flood, l’imperfezione del diluvio”, di Sandro Pecchiari: un dolore di viscere, di ventricoli, eppure dignitoso e mai urlato. Ed è il tempo del dolore (del pianto ingoiato, del fiato rotto, del bruciore in gola, del salto dei battiti), quello battuto dal metronomo della poesia: diciannove testi bilingui, nati in italiano e tradotti liricamente dallo stesso autore in lingua inglese, (suo secondo idioma), che si presentano anche graficamente proprio per questo, imponendo pause di lettura e sospensioni:
“l’essere privato di un passaggio/ tra il vivere che resta/ e te/ mi fa immobile nella diminuzione”.
Si tratta di testi brevi, suddivisi in stanze di uno/due/tre/quattro versi liberi, nei quali la “scostanza” (“Trieste rincorre/ scostante di parole/ l’aria inerpicata”) del segno, decide il tempo della lettura e della interiorizzazione della poesia, e ci porta a fermarci, aspettare per comprendere, prima di proseguire.
[continua]
da Versante ripido di Marzo 2016