Il sostrato dei versi di Claribel Alegrìa è immediatamente percepibile per un linguaggio e uno stile originali dove l’elemento che si palesa sul finire dei versi è in grado talvolta di suscitare sgomento, stupore e ne costituisce ad ogni buon conto la struttura portante. È un giuoco di metafore il suo sia quando l’io narrante assume le vesti di una figura umana sia quando esso impersona un insetto, un anfibio, com’è nel caso di due delle poesie qui scelte. Di fronte a un’azione da compiere ecco l’epifania del vuoto, dell’inconoscibile risultato, dell’inaspettato esito: tutto ciò può essere esteso per analogia all’intera esistenza, costantemente “corrosa” da un vaticinio sul domani, sul futuro, che impedisce il dipanarsi sereno della matassa. Tuttavia anche la più pericolosa delle sorti, si legga ad esempio in “La salamandra”, può trasformarsi in una situazione da cui trarre vantaggio, riavvolgendo così il nastro del percorso compiuto. La finitudine dell’esistenza umana, la naturale fragilità della vita non cancellano la speranza né l’entusiasmo per un oltre che, pur incerto e indefinito, può riscattare ogni personalità: la “scala” lasciata nella prima composizione selezionata, per quanto traballante, è il segno di una volontà d’amore, di un desiderio intriso di forza che conduce nonostante tutto a “riveder le stelle”, se accogliamo l’invito iniziale. Quel pertugio, quell’appassionata lotta per la sopravvivenza, quella forza interiore appaiono dominanti e in grado di superare ogni ostacolo. La luce rappresenta ciò che va oltre la nostra percezione, ma anche un’àncora di salvezza quando non il Creatore onnisciente che tutto sovrasta e tutto abbraccia. In Alegrìa pur in un pessimismo di fondo c’è una capacità non comune, stupefacente appunto, di addentrarsi nel creato, nell’infinitesima piccola particella di vita così come negli spazi siderali, che è propria e tipica solo di una poesia impastata di storia personale, scevra di sovrastrutture e di cervellotiche costruzioni sintattiche, ma decisa a dire ciò che è, senza formalismi e leziosità, a cogliere il tutto rendendolo semplice e unico al tempo stesso. Un verso, il suo, che getta un nuovo sguardo sugli accadimenti, sulla fecondità dei rapporti umani e sulla risposta ai travagli del nostro tempo da “cauterizzare” con quell’umiltà che costituisce il supremo insegnamento da lei lasciatoci.
Federico Migliorati
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