La morte è un sasso che si getta in un lago. Tutt’intorno, nei cerchi concentrici, resiste per un poco il segno tangibile dell'avvenimento. Ci vuole tempo prima che l’acqua ritrovi la sua iniziale staticità. Qualcuno vorrebbe girare lo sguardo subito, andare altrove, perché il dolore è troppo forte, qualcuno invece preferirebbe annegare nel vaso della memoria come se non esistesse domani. Io mi sono seduta, con il silenzio nella gola, e ho tirato fuori la matita.
Impotente nel cambiare la realtà, impaurita di fronte a questo andare prematuro, non mi è rimasto che celebrare la vita, quella che era stata, quella che ancora era nell'attimo stesso della malattia e quella che dopo, comunque, sarebbe restata.
E così è nato Sulla soglia, perché la soglia è una dimensione a sé stante: contare i minuti per morire è non essere né morti né completamente vivi. La soglia è l'occhio frontale, l'impossibilità di pianificare e per quanto tutti viviamo, oggi giorno, della retorica del "qui e ora" solo in quel momento, privati di un'idea di futuro, sfioriamo cosa questo significhi.
Sulla soglia è un tentativo di celebrare l'amore "tenendosi per mano" al di là dalla questione mortale; e con questo intendo dire che l'amore, a mio avviso, può trascendere la condizione terrena e per questo, con leggerezza, voglio continuare a celebrare, con le parole, quel sentimento dolce e autentico come se il dialogo non fosse interrotto, ma avesse solo cambiato canale.
Parlare di morte significa, oltre i luoghi comuni, celebrare la vita. Significa incastonare nei versi una forza vitale che pacifichi lo smarrimento e che consenta un reinventarsi radicale. Cos'è la vita se non un reinventarsi continuamente? Saltare dall'isola dell'infanzia a quella dell'adolescenza, sbarcare increduli nell'adultità, prima dell'approdo alla vecchiaia.
Transitare dalla vita alla morte è il nostro destino, anzi la nostra destinazione, e credo sia terribilmente dannoso parlarne sottovoce, come se si temesse il contagio, siamo già tutti portatori dei questa lenta (per qualcuno meno lenta) decadenza. Sulla soglia dice che il cielo è "precario", perché questa è la natura del nostro vivere e solo esserne autenticamente consapevoli consente alla vita di fiorire in tutto il suo splendore.
Prologo
noi ci teniamo per mano
tra le crepe dei non ti scordare di me
come sporadiche fioriture di Marzo
nel sempreverde del ricordo
il cielo precario e torrenziale solitudine.
6 luglio 2016
la lacrima lungo l'angolo
sinistro il passaggio, ogni
giorno riscorre il tuo andare
nel mio occhio in prestito
che poi cosa vuoi che sia,
la vita non è tutto.
22 giugno 2016
e ora che è giorno
e che sei sempre solo
sopra una tazza di caffè
a nulla serve lo spazio
nelle metastasi dell'assenza.
in verità qui non esiste
non esiste certo né assolutamente
esiste la vita parziale finché esiste
sbraitante all'angolo della strada
nel centro esatto dell'impermanenza
e allora è salvare, la necessità,
salvare l'incrocio di mani
che siamo stati.
MONICA GUERRA
Monica Guerra è nata il 4 ottobre 1972 a Faenza, dove da molti anni vive, dedicandosi al suo più prezioso oggetto d’amore: la poesia. Si occupa di formazione e apprendimento presso diversi istituti pubblici e privati ed è promotrice di eventi culturali e letterari sul territorio.
Ha pubblicato Sotto Vuoto (Il Vicolo, 2016), Semi di sé (Il Ponte Vecchio, 2015) e il saggio intitolato Il respiro dei luoghi, scritto a quattro mani con il sociologo Daniele Callini (ll Vicolo, 2014).
A Faenza gestisce, con Flavio Almerighi e Aurea Bettini e in collaborazione con la Samuele Editore il ciclo di incontri #POETRY giunto ormai al secondo anno di attività.
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