da SoloLibri
Alessandro Anil, classe 1990, è vissuto fino a sedici anni in India, nel Bengala occidentale a Santiniketan, dove ha frequentato la scuola fondata da Tagore. “Shanti” in sanscrito significa pace ed è la pace interiore che il poeta cerca nella breve ma intensissima silloge Terra dei ritorni (Samuele Editore, pp.68, 2023), con versi lunghi e discorsivi alla maniera di Walt Withman.
Il ritorno è necessario per raggiungere l’annullamento, quale legge inderogabile individuale e, su scala storica e sociologica, è caratteristica peculiare del nostro tempo, sentito e visto con lucidità come fine di un’era:
La metafora più fedele di questo inizio secolo è la fine del giorno.
Il ritorno è memoria, la memoria è madre della poesia, generatrice del piccolo poema che è un canto alla morte, raccontato alla donna amata, in cui il poeta si annulla per ritrovarsi.
Il leitmotiv ripetuto quasi in ogni pagina è “fammi entrare”, per due motivi, in apparenza antitetici: godimento psicofisico e accettazione della fine, ma pure strumento di conoscenza attraverso di lei; e la conoscenza, sia in senso fisico che spirituale, è anch’essa un ritorno.
Infatti il libro inizia con versi emblematici, sembrano un esergo, logo e preludio:
Noi siamo uno nell’altro nascosti / e ci apprendiamo quale l’uno il nascosto dell’altro. / Alternando, ci mostriamo quando siamo più nascosti / e ci nascondiamo quando più ci mostriamo.
La meditazione continua sulla morte, come ogni ossessione, contiene il suo contrario, la speranza che non sia vero.
Graziella Atzori
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